Letture: Geremia 33,14-16; Salmo 24; Prima Lettera ai Tessalonicesi 3,12-4,2; Luca 21,25-28.34-36
Ricomincia da capo l’anno liturgico, quando ripercorreremo un’altra volta tutta la vita di Gesù. L’anno nuovo inizia con la prima domenica d’Avvento, il nostro capodanno, il primo giorno di un cammino (quattro settimane) che conduce a Natale, che è il perno attorno al quale ruotano gli anni e i secoli, l’inizio della storia nuova, quando Dio è entrato nel fiume dell’umanità. Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per ciò che dovrà accadere. Il Vangelo non anticipa la fine del mondo, racconta il segreto del mondo: ci prende per mano e ci porta fuori, a guardare in alto, a sentire il cosmo pulsare attorno a noi; ci chiama ad aprire le finestre di casa per far entrare i grandi venti della storia, a sentirci parte viva di una immensa vita. Che patisce, che soffre, ma che nasce.
Il mondo spesso si contorce come una partoriente, dice Isaia, ma per produrre vita: è in continua gestazione, porta un altro mondo nel grembo. La terra risuona di un pianto mai finito, ma il Vangelo ci domanda di non smarrire il cuore, di non camminare a capo chino, a occhi bassi. Risollevatevi, alzate il capo, guardate in alto e lontano, la liberazione è vicina. Siamo tentati di guardare solo alle cose immediate, forse per non inciampare nelle macerie che ingombrano il terreno, ma se non risolleviamo il capo non vedremo mai nascere arcobaleni. Uomini e donne in piedi, a testa alta, occhi nel sole: così vede i discepoli il Vangelo. Gente dalla vita verticale. Allora il nostro compito è di sentirci parte dell’intero creato, avvolti da una energia più grande di noi, connessi a una storia immensa, dove anche la mia piccola vicenda è preziosa e potente, perché gravida di Dio: «Cristo può nascere mille volte a Betlemme, ma se non nasce in me, è nato invano» (Meister Eckart).
Gesù chiede ai suoi leggerezza e attenzione, per leggere la storia come un grembo di nascite. Chiede attenzione ai piccoli dettagli della vita e a ciò che ci supera infinitamente: “esisterà pur sempre anche qui un pezzetto di cielo che si potrà guardare, e abbastanza spazio dentro di me per poter congiungere le mani nella preghiera” (Etty Hillesum). Chiede un cuore leggero e attento, per vegliare sui germogli, su ciò che spunta, sul nuovo che nasce, sui primi passi della pace, sul respiro della luce che si disegna sul muro della notte o della pandemia, sui primi vagiti della vita e dei suoi germogli. Il Vangelo ci consegna questa vocazione a una duplice attenzione: alla vita e all’infinito. La vita è dentro l’infinito e l’infinito è dentro la vita; l’eterno brilla nell’istante e l’istante si insinua nell’eterno. In un Avvento senza fine.
Ermes Ronchi
Avvenire
Inizia il tempo liturgico dell’Avvento, cioè il tempo della venuta del Signore Gesù Cristo. Per la Chiesa, con questa domenica, comincia il nuovo anno. Il colore viola dei paramenti ci dice che entriamo in un tempo di attesa e di preparazione: per quattro settimane, nel raccoglimento e nel rinnovamento interiore, ci prepariamo al Natale, all’incontro col Signore che viene. Nella nostra professione di fede confessiamo che il Figlio di Dio, Cristo Signore, si è fatto uomo incarnandosi, per opera dello Spirito Santo, nel grembo della Vergine Maria, è stato crocifisso, è morto, sepolto e, il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo e di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti.
Questa venuta gloriosa di Gesù Cristo è parte integrante del mistero cristiano, perché c’è un Giorno, già annunciato dai profeti e poi testimoniato più volte dallo stesso Gesù ai suoi discepoli, in cui il Signore stabilirà pienamente la sua presenza nella storia dell’umanità. In quel giorno avverrà il giudizio dei vivi e dei morti, in modo che siano ristabilite definitivamente la giustizia e la verità, e così si compia il disegno di Dio e sia resa testimonianza a coloro che nel mondo hanno subìto afflizione e hanno atteso con fiducia l’avvento del Signore. Avvento, dunque, è un tempo di attesa e di speranza gioiosa.
Nella pagina del vangelo che è stato proclamato, il Signore Gesù parla della sua ultima venuta alla fine di tempi. Gli ebrei della Palestina erano curiosi come noi, e ponevano a Gesù delle domande sul futuro di Gerusalemme e sulla fine del mondo. Gesù risponde con parole poco chiare, in un linguaggio insolito: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte». Che cosa voleva dire Gesù? Gli studiosi spiegano che si tratta di uno speciale linguaggio, detto apocalittico, proprio degli antichi profeti, riguardante la rivelazione delle ultime vicende.
Quei profeti ricorrevano sovente a queste espressioni presentando la fine dei tempi in modo catastrofico. Gesù, dunque, esprimendosi con il linguaggio apocalittico ha accettato in pieno le condizioni della situazione umana. Nel suo discorso, però, il Maestro non parla solo di catastrofi ma anche di speranza, di fiducia. Gesù, infatti, dice ai suoi discepoli: «Risollevatevi e alzate il capo». Il Messia, quindi, non propone di nascondersi e di fuggire terrorizzati, ma indica quale deve essere il motivo della loro gioia e fiducia: «la vostra liberazione è vicina». In sostanza Gesù assicura i discepoli sulla sua presenza al loro fianco: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria».
Le letture che in questo tempo forte dell’anno liturgico la liturgia della parola ci propone, ci invitano a riporre la nostra speranza nel Signore Gesù, giudice e salvatore. In questo tempo di Avvento, che ci prepara al santo Natale, facciamo nostra la raccomandazione che Gesù fa ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita». In parole molto semplici, Cristo Signore vuol farci capire che poiché siamo in viaggio verso la Gerusalemme celeste non dobbiamo appesantirci con problemi terreni, con affanni, con il denaro, con il potere, con cose che non porteremo con noi. Gesù ci invita ad essere leggeri, liberi, e la libertà nasce attraverso il distacco dalle cose terrene.
Nella prima lettura il profeta Geremia dice: «Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda». Ciò significa che Dio è sempre fedele alle sue promesse di bene. Perciò, fiduciosi di questa fedeltà di Dio, non possiamo abbandonarci al pessimismo, alla passiva rassegnazione, allo sterile disimpegno, ma dobbiamo essere credenti pieni di speranza e di fiducia, nonostante le delusioni, gli insuccessi, i momenti di scoraggiamento. La speranza del cristiano necessita di essere alimentata dal frequente e docile ascolto della parola del Signore, dalla preghiera, dall’eucaristia e necessita anche di essere manifestata nell’amore vicendevole verso tutti, amore che deve sempre crescere ed abbondare, come ci ricorda san Paolo nella prima lettera che scrive ai Tessalonicesi (l’odierna Salonicco, in Grecia): «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (II Lettura).
Chiediamoci allora onestamente durante queste settimane di Avvento: noi cristiani attendiamo il Signore, sì o no? Desideriamo veramente incontrarlo? Dalla risposta a questi interrogativi nasce un comportamento quotidiano capace di capire se siamo cristiani dal cuore libero oppure cristiani dal cuore appesantito.
Don Lucio D’Abbraccio