XXVII domenica del Tempo Ordinario; commento al Vangelo. Inaugurazione del nuovo Anno Pastorale 2022/2023

Con questa domenica inauguriamo il nuovo Anno Pastorale 2022/2023. L’icona evangelica Venite alle nozze sulla quale ci soffermeremo durante tutto l’anno, ci aiuterà ad una ricomprensione dell’invito di Gesù e a rimodulare una nuova risposta che coinvolga tutta la nostra vita.
In questo nuovo pezzo di strada, ci fanno da apripista 22 ragazzi e ragazze che saranno confermati nella fede, per sempre!
Lo Spirito Santo viene in aiuto alla nostra debolezza, e ci spinge ad invocare con le parole del Vangelo di questa domenica: Signore accresci in noi la fede!

Letture:
Abacuc 1, 2-3; 2, 2-4; Salmo 94;
2 Timoteo 1,6-8.13-14; Luca 17, 5-10

Accresci in noi la fede. Invocazione eterna di ogni discepolo: aumenta, aggiungi, rinsalda la fede, è così poca, così fragile. Non c’è preghiera più limpida, ma Gesù non la esaudisce. La fede non è un pacco dono che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, la mia risposta al suo corteggiamento amoroso. «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” e vi obbedirebbe”. Gusto la bellezza e la forza del linguaggio di Gesù e della sua carica immaginifica: il più piccolo tra tutti i semi intrecciato a grandi alberi che danzano sul mare! Un granello di fede possiede la potenza di sradicare gelsi e la leggerezza del seme che si schiude nel silenzio; un niente che è tutto, leggero e forte. Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape, una formichina, come dice il poeta J. Twardowski: «anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede».

Ho visto alberi volare, ho visto gelsi in volo sul mare come uno stormo di gabbiani. Ho visto, fuori metafora, discepoli del Nazareno, vivere su frontiere in fiamme e salvare migliaia di vite; uomini e donne fidarsi l’uno dell’altra e affrontare problemi senza soluzione con un coraggio da leoni; madri e padri risorgere a vita dopo la morte di un figlio; disabili con occhi luminosi come stelle; una piccola suora tutta rughe rompere i millenari tabù delle caste. E questo non accadeva per sopravvenuti, inattesi prodigi, ma per il miracolo continuo, unico che ci serve, di amori che non si arrendono. Lo sottolineano parole difficili: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”.

Inutili, nella nostra lingua, significa che non servono, incapaci, improduttivi. Ma non così nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né inutili quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato improduttivo il servizio. “Servi inutili” significa: servi che non cercano il proprio utile, senza pretese, senza rivendicazioni, che di nulla hanno bisogno se non di essere se stessi. Non cerco il mio interesse, non è la ricompensa ma il servizio ad essere vero! Il servizio è più vero dei suoi risultati, più importante del suo riconoscimento. Il nostro modo di sradicare alberi e farli volare? Scegliere, in questo mondo che parla il linguaggio del profitto, la lingua del dono; in un mondo che percorre la logica della guerra, battere la mulattiera della pace. Allora per sognare il sogno di Dio mi bastano i grandi campi del mondo, la formica della fede, e occhi di profeta: e lo vedrò, il sogno di Dio, come una goccia di luce impigliata nel cuore vivo di tutte le cose.

P. Ermes Ronchi