Un nuovo anno «flagrando» nella «raggiante oscurità» del mistero

Nel Vangelo del primo giorno dell’anno ricordiamo Maria Madre di Dio.
La Parola ci presenta un quadretto tipico di questi giorni natalizi: Maria che custodiva tutte le cose nel suo cuore facendole oggetto di meditazione stupita, Giuseppe, il Bambino, i pastori.
Proprio su questi ultimi vale la pena soffermarsi, guidati da una poesia di Mario Luzi:

I pastori
E ora dove avrebbero
brucato quelle abbacinate pecore?
Dove le spingevano i montoni?
Non c’era
erba a quella altitudine.
Ce n’era
assai più in basso
ma lì non ne volevano, era pesta
e attossicata
erba quella,
ormai
desideravano altro.
E loro erano fatti tutti profeti e angeli,
di che? – non lo sapevano –
Imminente?
Accaduto già?
Così
li aveva fatti
ben dentro il plasma umano
flagrando
quella profetizzata
e temuta natività
che essi vedevano e adoravano
perduti
nella raggiante oscurità.
(da Frasi e incisi di un canto salutare, 1990)

Si tratta di un testo diviso in due grandi parti. La prima riguarda la quotidianità dei pastori, appesantiti dalle loro incombenze quotidiane: trovare per il gregge un pascolo adatto, che non ne danneggi la salute. Chiara è anche la valenza simbolica dei loro ragionamenti: anche se in alto non c’è più erba, non si può scendere in basso, perché lì questa è «pesta e attossicata». Abbassare lo sguardo avvelena la vita, sembra dirci l’autore. E il verso 12, che chiude la prima sequenza, ha una funzione cerniera, che lega l’intenzione delle pecore, quasi umanizzate, e gli stessi loro pastori: «Ormai desideravano altro».

Inizia così la seconda parte, nella quale capiamo che il poeta non ci sta parlando di un generico mondo bucolico, ma dei pastori che «erano fatti tutti profeti e angeli» dalla «profetizzata e temuta natività» e che essa ha provocato in loro un desiderio di altro.

Tutto rimane implicito, ma al tempo stesso è evidente il riferimento alla nascita di Cristo, di cui Luzi non ci dà una descrizione, se non entrando nell’animo di quei primi testimoni. Loro, i pastori, i più negletti e temuti, perché considerati ladri e irregolari per la loro vita raminga, esclusi dalla vita sociale del tempo, sono scelti per portare il lieto annuncio, diventando «profeti» e «angeli». È di nuovo il messaggio del Magnificat: l’umile esaltato, la marginalità riportata al centro; l’accoglienza della novella trova terreno fecondo in coloro che hanno il cuore semplice, generando una vera conversione, perché dopo aver visto e adorato, non si può rimanere nella stessa vita di prima. Luzi usa un verbo straordinario: «flagrando». Di fronte alla realtà del Salvatore nato da donna i pastori hanno il cuore che brucia e arde, che crea un’energia nuova e contagiosa, in una «raggiante oscurità». Un’altra espressione meravigliosa, ossimorica, per indicare magistralmente non solo il mistero del Natale, ma di tutta la vita cristiana: un’oscurità che dona luce, perché non tutto è rivelato, molto rimane in ombra, ma quello che è mostrato basta per stupirsi e diffondere il felice annuncio che «Dio salva»: missione del Bambino confermata dal nome che i genitori, docili allo Spirito, gli donano dopo gli otto giorni prescritti.

Non posso non chiedermi: noi cristiani occidentali e sazi siamo ancora capaci di «flagrare»? Riusciamo ancora a «irradiare»?

Oggi iniziamo a sfogliare il calendario di un nuovo anno: che ci sia dato di «flagrare» nella «raggiante oscurità».

Sergio Di Benedetto