Quest’anno, a motivo della solennità del Corpus Domini, due solennità di grande importanza si accavallano.
Per favorire la loro celebrazione, il calendario liturgico ha subito una leggera variazione. La solennità della natività di San Giovanni Battista, che in genere si celebra il 24 giugno, quest’anno viene anticipata al giorno prima, il 23 giugno. La solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù rimane invece il venerdì dopo la solennità del Corpus Domini, quest’anno il 24 giugno.
Due solennità che ci fanno ascoltare due importanti brani del Vangelo con i relativi commenti pubblicati di seguito.
NATIVITA’ DI SAN GIOVANNI BATTISTA
Eucaristica ore 19.00 chiesa di San Giuseppe in Via Napoli
“Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei.
All’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: No, si chiamerà Giovanni. Le dissero: Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome.
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: Giovanni è il suo nome. Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio” (Lc 1, 57-64).
La Solennità della nascita del Battista ci permette di tracciare i lineamenti essenziali di questa figura il cui nome è portato da tanti uomini e donne. Un nome, d’altra parte, dal significato suggestivo: si connette, infatti, ad un verbo ebraico che è alla base del sostantivo “grazia” (hnn). Il re davanti al suddito amato prova tenerezza e lo colma di “grazia” per cui il suddito diventa “grazioso”, trasfigurato, glorificato. Questo senso del nome “Giovanni” è naturalmente da intendere in modo religioso: per usare un’espressione applicata da Luca a Maria, “Giovanni” è “pieno di grazia”, avvolto dall’amore di Dio fin dalle sue origini, naturalmente in grado e forma diversi rispetto a quelli della Madre del Signore.
Dal Battista – chiamato dalla tradizione cristiana “Precursore” cioè “colui che corre innanzi”, l’araldo del Messia sulla base della profezia di Isaia (40, 3-5) citata dagli stessi evangelisti – ci parlano i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli e lo storico giudaico Giuseppe Flavio, contemporaneo di Paolo. Quest’ultimo nella sua opera Antichità Giudaiche ci presenta Giovanni come un maestro nobilissimo di pietà e di virtù, battezzatore ma solo in senso rituale, incarcerato e decapitato dal re Erode Antipa nel forte di Macheronte sul mar Morto per timore che attorno alla sua figura si coagulasse il malcontento popolare contro il regime erodiano. Alcuni studiosi hanno sottolineato anche i punti di contatto della predicazione e del battesimo di Giovanni con la vita e le credenze della comunità “monastica” giudaica di Qumran, sulla sponda occidentale del mar Morto, nota per le sensazionali scoperte dei testi della sua “biblioteca” a partire dal 1947. Tuttavia le distanze del Battista da questo ambito sono superiori agli elementi paralleli.
Egli, infatti, si erge soprattutto come colui che proclama una svolta radicale, una conversione dell’esistenza e non una semplice purità rituale e sacrale. Egli è poi colui che annunzia non solo dei generici “ultimi tempi” o un’era messianica ma una precisa figura di Messia, Gesù di Nazaret. Costui è “il più forte” nei cui confronti egli non si sente degno neppure di essere il semplice schiavo, colui che scioglie al suo signore i legacci dei sandali (Mt 3, 11). Sappiamo anche che attorno al Battista si era costituita una comunità di discepoli dei quali alcuni si metteranno con gioia alla sequela di Gesù mentre altri si arroccheranno attorno a Giovanni anche dopo la sua morte in una specie di “comunità battista” autonoma di stampo rigorista. Infatti nei Vangeli leggiamo frasi di questo genere: “Perché i discepoli di Giovanni digiunano?… Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli” (Mc 2, 18; Lc 11, 1).
Ma la fisionomia spirituale del Battista è legata ad alcuni tratti fondamentali. Innanzitutto la sua nascita gloriosa, narrata da Luca in una pagina molto intensa di cui la liturgia odierna ci offre il brano centrale. Egli è per eccellenza dono di Dio, dato che nasce dalla vecchiaia ormai sterile di Elisabetta e dall’incredulità “muta” di Zaccaria. Egli è il profeta definitivo: “Tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo… Giovanni un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta” (Lc 1, 76; 7, 26). Egli è ricolmo dello Spirito di Dio fin dal grembo materno perché la sua missione sarà totalmente consacrata a Dio e al suo Cristo. Il secondo lineamento del suo ritratto è nella sua voce, tempestosa come quella dei profeti antichi, e nella testimonianza che non conosce esitazioni. Come dirà Gesù, Giovanni non è una canna che si piega al vento, è una quercia che può essere solo spezzata. Ecco, allora, il terzo tratto legato ad un atto preciso, quello del battesimo di Gesù. La voce del Battista e la sua mano puntano diritte su quell’uomo che è nella folla degli ascoltatori: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1, 29). E il battesimo che egli compie su Gesù si trasforma in una grandiosa epifania divina. Canterà l’evangelista suo omonimo: “Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce. Non era lui la luce…” (Gv 1,7-8).
L’ultimo tratto del Battista è nella donazione totale, nello stile dei grandi profeti. I Vangeli, infatti, ci riferiscono la passione e la morte di Giovanni in un racconto ampio e carico di venerazione. La sua era stata la storia di un uomo straordinario che aveva avuto la coscienza della grandezza della sua vocazione ma anche del limite della sua missione.
Bellissimo a questo proposito è l’autoritratto che egli abbozza sulla base di un uso giudaico, quello dell'”amico dello sposo”, cioè del mediatore ufficiale tra lo sposo e la sposa prima delle nozze: “Non sono io il Cristo. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo esulta di gioia alla voce dello sposo… Bisogna che lui cresca e che io diminuisca” (Gv 3,28-30).
SACRATISSIMO CUORE DI GESU’
ore 09.30 Eucarestia nella chiesa di San Giuseppe – esposizione dell’eucarestia
ore 10.15 esposizione dell’Eucarestia per la preghiera personale fino alle 12.00
ore 12.00 ora media e benedizione eucaristica
4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».
È una festa di origine devozionale, legata ad una apparizione a Paray-le-Monial eppure attinge ad una verità semplice e intensa: al centro della nostra fede c’è l’amore di Cristo.
Dobbiamo togliere lo zucchero e i riferimenti ottocenteschi da questa festa, lasciar perdere le stucchevoli immagini del Gesù biondo dallo sguardo languido che apre la tunica per mostrare un cuore da cui si dipartono raggi luminosi.
Immagini che hanno colpito la fede dei nostri nonni ma che fatichiamo ad accogliere nella nostra sensibilità contemporanea. Eppure, al di là della rappresentazione iconica, la verità di questa festa è enorme: Cristo ci ha amati e ci ama intensamente, senza compromessi, con forza, con fedeltà.
Se siamo cristiani è perché abbiamo scoperto di essere amati in maniera adulta, senza ricatti, senza suscitare sensi di colpa, con libertà. E dall’amore di Cristo abbiamo scoperto l’amore del Padre, attraverso il Maestro siamo giunti a conoscere il vero volto di Dio. Amore concreto, quello di Cristo, affatto emotivo, saldo e ponderato. Le sue scelte, il suo donarsi definitivo sulla croce, l’andare fino in fondo, amando chi non lo amava, consegnandosi alla volontà omicida dell’umanità, ridefiniscono il concetto di amore e di sacrificio. Sia l’amore che abbiamo ricevuto al centro della nostra giornata lavorativa. Siamo amati. Possiamo amare.