Dal deserto al monte…

Alzando gli occhi
non videro nessuno,
se non Gesù solo.”

(Mt 17,8)

Dopo averci fatto attraversare il realismo della tentazione di Gesù, cioè la perseveranza nell’amore che non rifugge la prova ma vi entra con umiltà e obbedienza, la Quaresima – offrendo in questa seconda domenica la pagina della Trasfigurazione – dischiude al cammino che noi credenti stiamo compiendo la strada della trasformazione.

La trasformazione di Gesù, anzitutto, che riceve consolazione e forza (Mosé e Elia) nella consapevolezza della dura realtà del suo destino, senza cedere alla rabbia o alla rassegnazione, ma intravedendo in Gerusalemme il compimento sconcertante e potente dell’amore del Padre, che egli percepisce sempre più come ragione del suo vivere. Gesù si mostra realmente e totalmente uomo, in una forma che trascende la forma della carne del figlio di Maria. Il Padre trasfigura il Figlio, ‘alza un velo’ che permette di scorgere in Lui ciò che è invisibile: la gloria, cioè la sua identità, prima che – negli eventi della passione e della croce – si mostri il suo volto sfigurato.

C’è anche una trasformazione dei discepoli, che sono condotti a cambiare la loro prospettiva su Gesù. Pietro, in particolare, perché non ha capito la logica di Dio e segue solo quella «degli uomini» (Mt 16,23). Il primo tra i discepoli è tentato di rimanere sul monte, di non andare a Gerusalemme, di evitare il confronto con la forza del male che insidia la promessa dell’amore. La voce di Dio allora diviene conforto e istruzione per lui e per gli altri: «Ascoltatelo» (Mt 17,5). Gesù si avvicina, tocca i suoi discepoli atterriti e dice loro: “Alzatevi e non abbiate paura!”. Li tocca con un gesto di confidenza e di amore, li rimette in piedi, li invita a una nuova conoscenza nella fede in Lui, rinnova l’invito a seguirlo nello scandalo della passione facendo memoria di quanto hanno visto.

Dunque, la Trasfigurazione non è solo conferma e rinnovata ‘vocazione’ per Cristo e trasformazione di Pietro e dei discepoli. Gesù su quel monte rivela il suo destino ultimo e quello di ognuno di noi: l’anticipo e svelamento della persona del Figlio è anche profezia del nostro esodo, futura trasformazione a immagine della Pasqua.

Ciò che ha consolato i discepoli sul monte è stata una visione inattesa e luminosa: ma ciò che resta, nella nube, è solo una ‘voce’. Ci dice quello che noi ora siamo: viandanti e credenti, beati anche se non ci è dato di vedere il Signore, come dice Gesù nel quarto Vangelo: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,29). Dunque: occorre ascoltare Gesù. Ma non nel senso intellettuale o formale: l’ascolto riguarda la sua storia, la sua vita, la sua umanità condivisa con noi in tutto, senza venire meno all’amore del Padre. I discepoli vedono Gesù, l’identico uomo che era salito sul monte, ma nella grazia della trasformazione inizia in loro la possibilità di intravedere Dio in lui. E Dio in ogni essere umano, fratello di Cristo.

Mai come in questi giorni drammatici – gli ennesimi di una lunga serie – che ci offrono il terribile spettacolo della morte di chi ha bisogno di aiuto (certo non improvvisato, ma strutturato e concorde), la pagina della trasfigurazione ripropone ai discepoli l’impegno a ricevere l’altro come Cristo stesso. E forse proprio questo ci svela ancora una volta quanto accade sul monte: il mistero dell’umanità fragile svelata in piena luce, nella quale risplende Dio.

Enrico Parazzoli“Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.” (Mt 17,8)