Letture: Geremia 17,5-8; Salmo 1; 1 Corinzi 15, 12.16-20; Luca 6, 17.20-26
Se non siamo come sonnambuli, questo Vangelo ci dà la scossa. «Sono venuto a portare il lieto annuncio ai poveri», aveva detto nella sinagoga, eco della voce di Isaia. Ed eccolo qui, il miracolo: beati voi poveri, Il luogo della felicità è Dio, ma il luogo di Dio è la croce, le infinite croci degli uomini. E aggiunge un’antitesi abbagliante: non sono i poveri il problema del mondo, ma i ricchi: guai a voi ricchi. Sillabe sospese tra sogno e miracolo, che erano state osate, prima ancora che da Gesù, da Maria nel canto del Magnificat: ha saziato gli affamati di vita, ha rimandato i ricchi a mani vuote (Lc 1,53).
Se Gesù avesse detto che la povertà è ingiusta, e quindi semplicemente da rimuovere, il suo sarebbe stato l’insegnamento di un uomo saggio attento alle dinamiche sociali (R. Virgili). Ma quell’oracolo profetico, anzi più-che-profetico, quel “beati” che contiene pienezza, felicità, completezza, grazia, incollato a persone affamate e in lacrime, a poveracci, disgraziati, ai bastonati dalla vita, si oppone alla logica, ribalta il mondo, ci obbliga a guardare la storia con gli occhi dei poveri, non dei ricchi, altrimenti non cambierà mai niente. E ci saremmo aspettati: beati voi perché ci sarà un capovolgimento, un’alternanza, diventerete ricchi. No. Il progetto di Dio è più profondo. Il mondo non sarà reso migliore da coloro che hanno accumulato più denaro.
«Il vero problema del mondo non è la povertà, è la ricchezza! La povertà vuol dire libertà del cuore dai possessi; libertà come pace con le cose, pace con la terra, fonte di ogni altra pace. Il ricco invece è un uomo sempre in guerra con gli elementi, un violento, un usurpatore, il primo soggetto di disordine del mondo. Non sono i poveri i colpevoli del disordine, non è la povertà il male da combattere; il male da combattere è la ricchezza. È l’economia del mondo ad esigerlo: senza povertà non c’è salvezza rispetto al consumo delle fonti energetiche, non c’è possibilità di pane per tutti, non rapporto armonioso con la vita, non fraternità, non possibilità di pace. Appunto, non c’è beatitudine e felicità per nessuno. Perché non v’è pace con la terra, con le cose, con la natura. Non c’è rispetto per le creature» (David Maria Turoldo).
Beati voi… Il Vangelo più alternativo che si possa pensare. Manifesto stravolgente e contromano; e, al tempo stesso, vangelo amico. Perché le beatitudini non sono un decreto, un comando da osservare, ma il cuore dell’annuncio di Gesù: sono la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, Dio regala gioia a chi costruisce pace. In esse è l’inizio della guarigione del cuore, perché il cuore guarito sia l’inizio della guarigione del mondo.
Ermes Ronchi
Avvenire
Una pagina bellissima ed impegnativa ci viene proposta oggi. È nata la comunità dei discepoli di Gesù (Lc 6, 12-16), coloro che a Pentecoste saranno inviati (apóstoloi) ad annunciare e testimoniare il vangelo. È con loro (v. 17) che Gesù, percorrendo la Galilea, rivela in parole e opere la novità che in lui trova compimento. In Cristo, Dio si è fatto vicino per mostrarci il suo amore, amore che è cura, accoglimento, compassione. Buona notizia per tutti, a partire dagli ultimi, dai poveri, dagli scarti che le nostre società sazie e indifferenti producono in gran numero.
La comunità dei credenti invera il Regno di Dio (v.20), in Cristo nasce un’umanità fondata sull’amore misericordioso, che vive concretamente la condivisione, la solidarietà, la fratellanza. L’insegnamento di Cristo non è astratta dottrina ma parola incarnata, parola evento capace di donare vita nuova, vita vera, vita che non finisce. Nell’ordinarietà delle nostre vite faticose, sulle orme di Gesù essere povero (2Cor 8,9) significa portare la salvezza agli altri, soccorrere chi è nel bisogno, perseverare nel bene. Le beatitudini non devono mai essere intese come passiva sopportazione o peggio compiacimento nel dolore, esse rivelano che in Cristo si compie una novità paradossale, che richiede la nostra fattiva collaborazione per rendere questo mondo sfigurato più abitabile e ospitale.
Gesù ci apre ad uno sguardo più attento e sensibile a ciò che ha veramente valore, capace di scrutare i segni del bene che avanza, è questo il senso del riferimento ai profeti; ci viene offerta la possibilità di essere causa, insieme a Dio, della creazione che è in cammino, di riconoscere nelle pieghe oscure dell’esistenza i germi di vita nuova seminati dal Signore, la bellezza che è in ogni persona, a partire dai poveri, coloro “che sono nella condizione di mancanza della pienezza della vita” (L. Manicardi). Non, dunque, i poveri esclusivamente come categoria sociale, ma tutti noi che sperimentiamo la fragilità, il male, il limite connaturato alla condizione umana. Siamo chiamati come comunità e non come singoli ad andare incontro al Signore che viene per donarci la sua grazia. Il dolore e la sofferenza restano, quali risultati della libertà dell’uomo e delle incoerenze che compie, ma Dio rivela tutta la sua predilezione per chi è ai margini, è presenza e consolazione nel bisogno, porzione di gioia oggi, gioia piena domani.
I poveri cui Luca fa riferimento sono i pitocchi (ptochòi), coloro che non hanno niente e vivono mendicando, coloro che dipendono dagli altri. Viene posta in evidenza la relazione, il legame che c’è tra ognuno di noi, la responsabilità di ciascuno verso il prossimo. “Ogni relazione vera è povera, non domina, ma tutto riceve e tutto dà”. La povertà ci riporta alla nostra condizione creaturale, riconosce il nostro bisogno essenziale e lo rende luogo di comunione. In questo modo è rifondata la comunità: riconoscere Dio quale Padre significa ammettere che l’altro è fratello, verso il quale non può che mostrarsi fiducia e accoglienza.
Le beatitudini sono il cuore del vangelo, perché richiedono la stessa fedeltà al Signore della croce e aprono alla vita nuova come la resurrezione. Le beatitudini ci convocano ad una risposta esistenziale radicale. Gesù ci chiede di ascoltare e mettere in pratica le sue parole (Lc 6, 46-49), scegliendo tra la vita e la morte. Ecco perché il profondo rammarico (non vi è infatti condanna nelle parole di Gesù ma esplicito avvertimento) per l’ingiusto arricchimento, la banalità della felicità comunemente intesa, il no ai potenti e al successo a scapito degli altri. “Beati” è sinonimo di “in piedi!”, parola che dona la vita.
Monica
Comunità Kairòs