Agosto e le ferie estive: una “dieta dell’anima” per trovare se stessi e Dio

Stando proprio alla prima pagina della Bibbia, anche Dio, dopo aver lavorato per sei giorni a erigere quella grandiosa architettura che è l’universo, si mise in vacanza (Genesi 2,1-4). Sorgeva, così, quel “riposo” che nella tradizione ebraica e cristiana ebbe la sua espressione nel sabato/domenica e che fu codificato nel terzo comandamento del Decalogo, la Magna Charta della morale.

La vacanza, però, non è una sorta di pagina bianca da riempire con la stessa frenesia del resto dell’anno (la Rimini o la Cortina estive sono proprio diverse da una Milano feriale e convulsa?). Le immagini che si depositano su quella pagina sono già note: una lenta colonna di auto e di mani indignate sul volante, le visite turistiche stremanti ciondolando tra musei e piazze, il fast-food per ingollare un panino o una bibita e le dita sempre sul cellulare a digitare…

“Vacanza”, però, non è neppure inerzia vuota (la pigrizia è pur sempre uno dei sette vizi capitali): è paradossale, ma questo vocabolo deriva dal latino vacare che significa “dedicarsi a un’attività”. E allora, perché non sostare durante un viaggio davanti a un paesaggio, stare più a lungo di fronte a una tela di un museo o nel silenzio gotico di una cattedrale, inseguire la trama di un libro, sedersi sotto un albero come Newton o immersi in una vasca come Archimede a riflettere o sulla terrazza a osservare le stelle come i Magi, ascoltare una musica o persino il silenzio?

A quest’ultimo proposito, lo scrittore Alberto Moravia, che non era certo un direttore spirituale, suggeriva in un’estate del 1964 ai suoi lettori questo consiglio: «Per ritrovare una vera fonte di energia, bisogna riscoprire il gusto della meditazione. La contemplazione è la diga che fa risalire l’acqua nel bacino e permette agli uomini di accumulare di nuovo l’energia interiore di cui l’attivismo li ha privati». In quel silenzio, che elimina l’eccesso dei decibel, dell’urlato, della chiacchiera, si può praticare una specie di dieta dell’anima, che ritorna capace di pregare.

La persona riesce, allora, a guardare nel fondo della coscienza, ove forse si annida qualche vipera. Nel silenzio la lettura di un libro – pratica così rara in Italia – può risvegliare il sonno della ragione e, se si tratta poi del Libro per eccellenza, la Bibbia, si trasforma anche in «lampada per i passi nel cammino» della vita. In‚ne in questo orizzonte si può insinuare anche la presenza implicita di un parente o di un conoscente anziano, malato, straniero, isolato nel caldo soffocante di un condominio senza nessuno che si ricordi di lui, con il suo citofono sempre muto. Gesù direbbe oggi che una telefonata o una visita fatta a quel fratello solitario sarebbe come se fosse destinata a lui stesso: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Matteo 25,40).

Gianfranco Ravasi