Abbiamo visto spuntare la sua stella.
Scendono presto le notti, d’inverno. È breve il pomeriggio e la sera trascorre in un attimo – tramonti arrossati accarezzano i profili delle montagne, disegnando in controluce tramature nere di rami spogli e di campanili. Scende presto la notte e subito è buio, e subito, per miracolo, il brillìo delle stelle punteggia di luce l’oscura profondità.
Notti invernali, notti limpide in cui le stelle son lì da toccare in punta di dita – notti in cui, con lo sguardo e le dita, ci si sporge sul bordo d’un abisso di bellezza infinita.
Abbiamo bisogno di guardare le stelle e di restare immobili, in silenzio, davanti alla purezza senza tempo del cielo. Abbiamo bisogno di ritrovare in silenzio un silenzio che raccolga la nostra sete e ci dica in verità di quale materia sono fatti i nostri sogni.
Essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva.
Abbiamo bisogno di vedere stelle spuntare nel buio delle nostre notti. Quando l’oscurità non è un mistero ma una fatica quotidiana che opprime l’anima, la piega e la piaga, abbiamo bisogno di alzare lo sguardo, a scoprire nuove stelle che luccicano laggiù, sul fondo del cielo, sul fondo della nostra vita.
Abbiamo bisogno di metterci in cammino, pellegrini, mendicanti, in cerca di un luogo e di un tempo in cui sostare per adorare, per contemplare ciò che va oltre noi stessi, ciò che i nostri pensieri e le nostre labbra non hanno parole per dire ma che, soltanto, possono tentare di balbettare.
E questo cammino è la vita, la nostra vita che cerca le stelle e cerca un Bambino, fragilità indifesa e disarmata che si consegna senza pretese, semplicemente bisognosa, di tutto e di tutti. Abbiamo bisogno di scoprire che in quella fragilità bisognosa è custodita la verità profonda del nostro stesso essere esseri bisognosi. Siamo fatti di sogni e di bisogni, di luce e di terra, di aria e di mare. Siamo sogno e bisogno, scintille di luce, sabbia polverosa che, con un niente, si sfarina fra le dita.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono.
Le stelle e un Bambino e un tempo e un luogo in cui sostare e prostrarsi. Chinare la fronte a terra e adorare. La fronte alzata a guardare le stelle è la fronte capace di chinarsi fino a terra, in adorazione. Equilibrio tremendo, meraviglioso, del gesto sospeso tra il cielo e la terra. Alzare lo sguardo alle stelle per imparare a chinare gli occhi a terra, per potersi prostrare, per poter adorare.
Siamo noi, sospesi sempre tra il passo e la sosta. Siamo noi e questa è la nostra vita – lo sguardo rivolto alle stelle e il cuore che s’apre a contemplare fragilità. Fragilità di un Dio nato da donna che prende la nostra carne per farsi Dio-con-noi nella storia. Fragilità della trama delle nostre vite, fragilità della storia. Questa storia di ingiustizie, sofferenze e soprusi, di debolezze calpestate, negate e rinnegate. Questa storia così bisognosa di luce, così bisognosa di sogni.
Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.
In sospeso tra i passi del cammino e il tremore di una sosta che si apre all’adorazione, siamo noi, con la nostra fronte alzata alle stelle, con la fronte chinata ad adorare il Bambino. Noi, con le nostre mani che aprono scrigni che neanche sapevamo di custodire nelle pieghe riposte del nostro cercare, nelle piaghe doloranti del nostro patire.
Negli anfratti della vita, scrigni celano doni che neanche conoscevamo, che neanche sapevamo d’avere. Nella nostra vita sono riposti regali – ecco la buona notizia. Basta aprire il cuore e basta aprire le mani, e ciò che è riposto e nascosto si dispiega, elargendosi in dono prezioso, ricco, profumato, regale, generato e rigenerato con generosità.
Basta aprire la vita, e tutto, per il solo fatto di essere donato, diventa dono e regalo regale.
Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Cercare una strada a volte è un andare, a volte un fare ritorno. Ascoltare la voce dei sogni, coltivare desideri larghi e profondi e non avere paura – una stella ci guiderà. Basta questo perché sia, ancora e ancora, Epifania.
Anita Prati