Viaggiare: ri-trovarsi, ri-comporsi, ri-temprarsi

Perché viaggiare? Per perdersi, per sfuggire allo sguardo su di sé, o viaggiare per ritrovarsi?

Se la fuga può essere di consolazione, essa a un certo punto si arresta, esaurisce la sua forza consolatoria e lascia il passo alla sofferenza e persino alla disperazione.
Da qui nasce un altro viaggio, ben più profondo e lungo: il viaggio verso sé stessi, per ritrovarsi; per riconoscersi, ricomporsi, riscoprire il filo di un’esistenza che continua a scorrere e che sembra non lasciarsi mai raggiungere.

Dinanzi a un tale viaggio, sorgerà spesso la domanda se si tratti di un cammino a ritroso o di un andare che guarda avanti, verso il futuro. Ma ci si accorgerà che i passi, a questo punto, non sono mai sufficientemente chiari. Quello che è certo è che si tratta di un viaggio mai concluso, e che solo in rari – ma indimenticabili! – momenti si ha la netta sensazione di andare percorrendo.

Dammi il mio giorno;
ch’io mi cerchi ancora
un volto d’anni sopito
che un cavo d’acque
riporti in trasparenza,
e ch’io pianga amore di me stesso.

Ti cammino sul cuore,
ed è un trovarsi d’astri
in arcipelaghi insonni,
notte, fraterni a me
fossile emerso da uno stanco flutto;

un incurvarsi d’orbite segrete
dove siamo fitti
coi macigni e l’erbe.

(Salvatore Quasimodo, Dammi il mio giorno)


Se stai cercando la dimora dell’anima, tu sei l’anima
Se stai cercando un tozzo di pane, tu sei pane.
Cerca di capire ciò che sto dicendo:
ogni cosa è là dove sei tu.

(Rûmî, Quartine)

Testi tratti da Sabino ChialàParole in cammino. Testi e appunti sulle dimensioni del viaggiare (2006).