Il gioco politico, lo “sfondo” delle immagini e la ricerca del consenso

Il problema dello «sfondo» è diventato, per tutti noi, una piccola questione durante le infinite «sessioni zoom» negli ultimi due anni. Così ognuno ha dovuto, in qualche maniera, prendersi cura del proprio sfondo. Lo sfondo, infatti, parla di te. Ma nei giorni scorsi, al primo messaggio pubblicitario di Salvini, in prima serata al TG1, la cura dello sfondo è apparsa come un’esperienza di caravanserraglio. Due bandiere italiane, un poco a sinistra, e intorno moltissime immagini sacre, d’Oriente e d’Occidente.

Il sacro e il falso

Tutte le immagini erano però rigorosamente brutte, dozzinali, accostate senza alcun gusto. Lo spettatore aveva immediatamente la sensazione che non potesse essere una casa vera o un ufficio vissuto. Sembrava piuttosto un luogo posticcio, o un ambiente angusto di lavoro provvisorio e anonimo, come un gabbiotto di un distributore di benzina o un bugigattolo dove si vendono le angurie.

Si respirava però un’aria di commercio, forse di svendita. E qui c’è il secondo punto interessante. Perché quando curi lo sfondo, che certo parla di te, devi anche tener conto che di te si vede anche quello che dici e come lo dici.

Se si osserva la posizione dell’attore durante l’intervista, assomiglia a quella dello studente che deve rispondere a domande (forse già concordate). Diciamo un’interrogazione programmata. E che però, nel rispondere, passa dal tono dell’esame alla lusinga della «svendita all’ingrosso». Ha la cravatta da ufficio, ma è come se avesse il grembiule da banco dei salumi.

Non so perché, ma quando ho visto come diceva quello che aveva da dire, ho subito pensato che parlava con la pancia, per parlare alle pance degli ascoltatori. Subito bollette, luce, gas, mutui, pensioni veloci, pace fiscale, lotta agli immigrati come alle baby-gangs: tutto quello che i “cattivi” non gli hanno lasciato fare in questi anni e che ora, finalmente, potrà elargire generosamente a tutti gli italiani per bene.

L’orgia della soddisfazione

Tutto facile, tutto diretto, tutto immediato. Nessuna agenda, solo azioni dirette e senza problemi. Nelle parole di Salvini non c’è alcuna grazia. Non tanto per il modo con cui parla, ma per il senso di ciò che dice: lui farà e basta e chi vuol far diverso è cattivo.

Ma allora, mi chiedo, come si spiega quel muro di «angeli, santi, protettori, corredentrici, Madri di Dio»?  Che cosa c’entrano con un discorso di pancia e sulla pancia quelle autorità dello spirito? Va detto che, alla fine del suo discorso, l’attore ha inserito anche un passaggio profondamente altruistico: sugli “autistici”, la cui tutela dovrà essere decisiva per il governo che verrà.

Le immagini che aveva dietro (Madre Teresa, Maria Madre di Dio) mi hanno subito suggerito, con la loro autorità, alcune domande: Ci curiamo degli autistici anche se sono stranieri? Anche se non hanno la cittadinanza? Anche se sono su una barca che chiede di approdare?

Le immagini sacre, per quanto brutte come poche volte le abbiamo viste, dicono però sempre più della pancia. La pancia vuole il sacro solo per digerire più velocemente. Il sacro è, per la pancia, un buon digestivo.

Ma il tema dell’autismo, incautamente introdotto in extremis, fa saltare tutto il castello, non si lascia smaltire come gli altri, perché non si può gestire come una “richiesta di categoria”. Taxisti fa rima con autisti, ma non con «autistici».

Per l’autismo occorre sviluppare una vera cultura pubblica, non una cultura corporativa, una cultura del rispetto e della differenza, non un “contentino” che prometta ad ogni categoria di essere riconosciuta come privilegiata rispetto alle altre. Gli autistici non sono una categoria, sono uomini e donne che hanno bisogno di un altro modo di concepire gli sfondi e di un altro modo di usare la pancia.

Così la prima forma del «programma populista di governo» suona più o  meno: tutto ciò di cui avete bisogno, ve lo darò. E non ci sarà alcuna difficoltà nel soddisfare ciò che chiedete. I vostri bisogni sono già ora il mio programma. Ma c’è un desiderio, in tutto questo? Un solo desiderio? C’è una trascendenza? C’è un decoro di comunità? C’è uno stile di accoglienza e di riconoscimento? C’è un contemperamento degli altri, un intreccio dei desideri diversi?

Non oltre Cernusco sul Naviglio

Si noti l’indelicatezza:  chiamare «pace fiscale» lo sconto sulle tasse non è forse un modo di insultare, di nuovo, non solo quelli che le tasse le pagano regolarmente, ma anche e soprattutto quelli che la pace, quell’altra pace, quella vera,  l’hanno perduta da mesi?

In un discorso del 21 luglio 2022 si può parlare come se il mondo finisse a Cernusco sul Naviglio? E si possono citare solo le «conseguenze economiche» dei disastri politici e bellici che ci stanno attorno? Il primo assaggio di sfondi e di parole non è stato molto promettente: la rincorsa a illudere gli elettori (negli stili che prima Berlusconi, poi Grillo, Meloni e Salvini hanno da tempo cavalcato) non lascia ben sperare. Un’“agenda seria” non è fatta solo di promesse, ma di mediazioni per mantenerle.

Quello che la Grazia non fa

L’impressione è che, dopo la pandemia, non solo siamo diventati tutti un poco più «esperti di sfondi», ma sappiamo anche meglio discernere il discorso devoto dal discorso vuoto, il discorso fondato dal discorso appiccicato.  C’è differenza tra un politico che ragiona e un venditore di fumo o di sogni: soprattutto il secondo può pensare che la grazia che gli manca possa venirgli da una selva di immagini che campeggiano dietro le sue spalle. Che la sua credibilità venga sostituita, per metonimìa, dalla credibilità dei (brutti) santi che gli fanno da ala. La grazia, però, non sostituisce una grave carenza del discorso politico, ma suppone sempre, prima, una parola vera e un contesto complesso e completo, che in nessun caso può permettere di presentare un programma di governo come se fossero saldi di fine stagione.

Andrea Grillo