Con la terza domenica di quaresima, la nostra Parrocchia, segue il ciclo delle letture dell’anno A. Lasciamo l’evangelo secondo Lc e passiamo a quello secondo di Gv, di cui leggeremo tre fra le pagine più belle e note del quarto vangelo. Questo cambio non è affatto arbitrario ma motivato dalla presenza di una catecumena, Arianna, che nella prossima Pasqua, con il sacramento del Battesimo, della Cresima e dell’Eucarestia, diventerà cristiana.
La Chiesa infatti suggerisce che, dove ci sono dei catecumeni è opportuno seguire il ciclo delle letture dell’anno A che ci presenta un antichissimo itinerario battesimale, attraverso tre racconti di incontri di Gesù, con altrettanti personaggi e con le loro situazioni: la donna samaritana (e la sua sete), l’uomo cieco dalla nascita (e la sua cecità) e infine Lazzaro (e la sua morte).
Gesù incontrerà ciascuno di questi tre personaggi. Incontrerà ciò che li abita e li umilia. E a ciascuno lascerà qualcosa che sarà capace di trasformare la loro esistenza: alla donna samaritana, l’acqua; all’uomo cieco, la vista; a Lazzaro, la vita.
Nel loro valore simbolico, questi tre doni hanno da sempre significato i doni che il catecumeno si preparava a ricevere la notte di Pasqua con il battesimo. Questa dunque la ragione che sta dietro alla scelta di tali brani: costituire una vera e propria catechesi battesimale, dopo le due domeniche, anch’esse cariche di significato per il cammino della fede, con le immagini della prova nel deserto e della luce rivelata sul monte.
Ma ciò che vale Arianna, vale anche per noi che siamo battezzati. Si tratta dunque di una scelta opportuna. Pagine appunto che ci parlano di ferite, di limiti, che ci abitano. Ma di limiti che si aprono all’azione salvifica del Cristo, nell’incontro con lui, se ci lasciamo incontrare da Lui; e dunque dei limiti che costituiscono anche delle ricchezze. O meglio: la cui coscienza, apre (può aprire) a dono grande della salvezza.
Quella salvezza che per Paolo, nel brano della lettera ai Rm che abbiamo ascoltato, è innanzitutto riconciliazione: “Giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (v. 1). Una pace che è dono di grazia, cioè effetto dell’amore di Dio, dice l’Apostolo: “Riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato” (v. 5). E una grazia che ci è stata data nella nostra debolezza e nel nostro peccato: “Quando eravamo ancora deboli … Cristo morì per gli empi” (v. 6); e: “Mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi” (v. 8).
La grazia si riversa nella nostra debolezza e nel nostro peccato, dice Paolo. Vale a dire, per riprendere le tre immagini dei brani evangelici di queste domeniche di quaresima: nella nostra sete, nella nostra cecità e nella nostra morte. E’ lì che inizia, dalla nostra reale situazione, il cammino della salvezza. Ma ad una condizione: che noi ci riconosciamo in una situazione di bisogno. Dio non può nulla per chi non si sente nel bisogno. Dio non può nulla per i giusti.
Spesso, infatti, noi siamo chiusi nella nostra autosufficienza. Ci illudiamo di bastare a noi stessi. Sentiamo davvero il bisogno di essere salvati? Di essere salvati ogni giorno? Avvertiamo davvero la sete di qualcosa che non siano le nostre esigenze e i nostri bisogni egoistici, che ci fanno desiderare (e riempire) di tante cose che non sono ciò di cui abbiamo davvero bisogno? Avvertiamo davvero la nostra cecità, riconoscendo di non vederci chiaro, e spezzando quell’autosufficienza che ci fa credere di possedere l’unico sguardo autentico sulle cose? Avvertiamo di essere limitati, finiti… esseri umani che camminano verso un orizzonte oltre il quale solo la fede (per quanto possiamo) ci fa intravvedere uno spiraglio, oppure ci sentiamo eterni e indistruttibili?
Ecco la salvezza annunciata da Paolo s’innesta sulle nostre debolezze e sul nostro peccato; e chiede a ciascuno di noi di riconoscere tutto questo, di abitarlo con umiltà. Con quell’umiltà che ci dà il coraggio di essere noi stessi, senza finzioni e dunque rinunciando alla violenza. Perché, come si evince nel libro dell’Es (prima lettura) davanti alla ferita, al bisogno, si può anche diventare violenti. Non è vero che l’umiliazione ci rende umili. Ci può anche rendere superbi. Non è vero che la ferita ci rende buoni, ci può anche rendere cattivi. Lo vedremo, proprio leggendo in parallelo le due storie di sete che la prima lettura e il vangelo di questa domenica ci offrono. Ambedue situazioni di sete… ma quanto diverse negli esiti!
Ecco allora dunque un altro tassello di ciò che possiamo ritrovare nel nostro cuore, seguendo il filo che stiamo ripercorrendo in queste domeniche: dopo le parole della tentazione (prima domenica) e la parola della vocazione (seconda domenica), oggi cogliamo un’altra realtà che abita il nostro cuore (la sete) e le sue possibili manifestazioni, gli esiti cui essa può condurci.
Siamo dunque ancora una volta chiamati a discernere le seti che ci abitano (se ci abitano) e soprattutto come viviamo queste seti… Se al modo dei figli di Israele che nel deserto tentarono Dio; o al modo della donna samaritana che, alla fine, chiederà a Gesù stesso l’acqua viva, l’acqua che dà la vita.
Ogni settimana, sarà pubblicato su questo sito il commento relativo al vangelo, al fine di consentire una preparazione spirituale al vangelo della domenicale che possa toccare il nostro cuore e cambiare qualcosa della nostra vita.
don Alessandro