Libertà personale, green pass e dintorni

L’obbligo di green pass per i luoghi di lavoro ha aumentato una componente (non maggioritaria) di malessere sociale, che però c’è: esso si mescola con i temi della libertà, responsabilità e paura. Da qui dobbiamo anche provare a creare occasioni di reciproco ascolto, tenendo sempre presente il cardine del bene comune.

Le manifestazioni rabbiose di piazza che hanno scosso nei giorni scorsi alcune grandi città italiane e – più profondamente – la percezione di un malessere (diffuso?) che si manifesta con una certa virulenza (e che viene sfruttato da chi cerca la violenza come ‘arma’ politica), pongono la questione della relazione tra libertà personale e vaccinazione/green pass o, più generalmente, della percezione e dell’esercizio della propria libertà personale dentro un contesto di responsabilità collettiva.
Il problema è ampio e ha, almeno nelle persone che conosco, tre posizionamenti diversi che andrebbero descritti, problematizzati e fatti oggetto di dialogo.

Un primo livello riguarda una visione che contrappone conflittualmente libertà personale e bene collettivo: i fatti vengono giudicati dando la precedenza al proprio ‘diritto’, al proprio spazio vitale, alle esigenze, rispetto alle quali ogni richiesta di considerare la rilevanza di ‘altro’ (e dell’altro) risulta una mancanza di rispetto, una coartazione, una ‘dittatura’. In gioco qui non c’è la salvaguardia della libertà, almeno non nel nostro contesto (imperfettamente) democratico, ma salvarsi dall’ipertrofia individualistica.

Un secondo livello è proprio di coloro che non credono alla pandemia, non credono alla sua gravità, guardano ai tanti asintomatici o paucisintomatici, pensano che ci siano state nascoste cure o che le misure sicurezza (distanziamento, mascherine…) siano esagerate. È una critica anti-istituzionale, dove OMS, EMA, esperti non contano: qui la risposta dovrebbe essere nettamente medica, clinica e statistica.

Un terzo livello è molto razionale: si giudicano le informazioni e si classificano come scorrette, sbagliate, sovraesposte… ci si chiede perché non si parla di molti altri guai che affliggono il nostro mondo. La conseguenza che queste persone traggono è aderire a qualche ideologia complottista (il complottismo è sempre di moda). Così ci si sottrae alla responsabilità personale, perché la sfida è immane, superiore alle forze di chiunque, in un’astrattezza che talvolta sfocia a livelli filosofici e teologici.

Può essere (come dicono molti) che la causa delle tre posizioni sia unica: la paura, declinata in modi differenti. In effetti tutti questi soggetti – al di là delle strumentalizzazioni politiche – vivono un malessere e un disagio profondo.
L’appello ‘gridato’ alla propria libertà, ai (reclamati) diritti dell’individuo, all’autodeterminazione contro l’invadenza di uno Stato autoritario – e il clima sociale conseguente – meritano una messa a punto precisa, che coniughi il rispetto della libertà personale con l’appartenenza ad una comunità civile (e anche religiosa). Siamo tutti nella stessa barca, ci ha ricordato Francesco. Mi pare che le vicende di questi ultimi tempi – anche qui il virus ha portato alla luce qualcosa che esisteva già… – suggeriscano una presa di posizione coraggiosa contro l’individualismo (una volta si diceva: “dura lex sed lex”, e non per acquiescenza ma per un senso civico più alto).

Ma la questione reale è: come creare occasioni di effettivo ascolto, confronto, comprensione rispetto a queste posizioni trasversali? Come recuperare la fiducia verso la competenza di chi comunica le informazioni, in un contesto dove la velocità, la diffusione e la semplificazione sembrano condannare ogni dato ad essere messo in discussione dal primo che passa?
La virtù del discepolo – in tutto questo – non è essere un ingenuo, ma prendersi in carico il dovere di esaminare la realtà, di accettare l’incertezza là dove sussiste, cercando di non cadere nell’inganno di chi chiama di qua e di là. La virtù del credente è non far prevalere la propria singolarità, cercando il più possibile – nella complessità – di custodire uno sguardo più autentico e largo sul vivere.

Non si può assentire ad un modo di vivere e giudicare la realtà che esula dal discernimento, dalla ricerca di un bene condiviso, dalla presa in carico che la società si edifica in uno sforzo comune che sostiene soprattutto i più deboli. Ma occorre oltrepassare l’invadenza delle opinioni, che pretendono di esistere e operano uno sgretolamento della visione del mondo, e disporsi con umiltà a cercare ciò che tiene insieme e edifica. Soprattutto in questo tempo.

ENRICO PARAZZOLI