L’eredità di Martini a 10 anni dalla morte: guardare a ciò che è essenziale

«Lasciando cadere ciò che è decadente, occorre guardare a ciò che è vivo e straordinariamente vitale»: potrebbe essere questa, in termini estremi, una buona sintesi del magistero di Carlo Maria Martini, di cui ricordiamo oggi il decimo anniversario della morte. Traggo l’espressione da una lettera dell’agosto 2014 inviata da Martini a Monsignor Giudici, e ora resa disponibile dalla fondazione che ne porta il nome.

Il pensiero, l’azione, lo stile di Martini — che oggi rimangono come eredità e come guida per il tempo che viviamo — hanno saputo lasciar cadere con sapienza ed equilibrio ciò che era decadente, perché non più in sintonia con l’esperienza di fede nel contemporaneo, per guardare a ciò che era vivo e vitale, ossia, in primo luogo, la Parola di Dio, continuamente letta, meditata, ascoltata, cercata: «lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino» (così il versetto del Salmo 119 che egli volle scolpito sulla sua lapide in Duomo a Milano). Dalla Parola di Dio, accostata come parola viva sempre capace di parlare all’umanità, nascevano la libertà di pensiero, il coraggio dello sguardo, l’attenzione educativa per coscienze cristiane adulte, pensanti e inquiete, capaci di scelte sentite come giuste e buone. Tutto ciò, saldando la fedeltà alla Chiesa e al Papa del gesuita con la viva intelligenza critica dello studioso, ha reso Martini «un padre della Chiesa» (Papa Francesco), ancora oggi ispirazione per molti, in diocesi di Milano e fuori: basti pensare ai numerosi testi di Martini continuamente ripubblicati, spesso frutto di trascrizione dei corsi di esercizi tenuti in tutto il mondo, durante i quali nutriva i molti con il pane del Verbo, unendovi il carisma ignaziano; davvero, per chi ha avuto la fortuna della lettura o dell’ascolto (pensiamo alla Scuola della Parola che riempiva il Duomo di migliaia di giovani) risuonano ancora la forza, la creatività, la grandezza dello Spirito, insieme alla qualità del pastore in grado di farsi accompagnatore, leggendo vite e situazioni.

Difficile chiudere in poche righe le coordinate del vescovo Martini, la cui eco ha superato di gran lunga il perimetro della diocesi di Milano: aprire la vita al soffio dello Spirito, curare la dimensione contemplativa della vita, «cioè quel momento di distacco dall’incalzare delle cose, di riflessione, di valutazione alla luce della fede, che è tanto necessario per non essere travolti dal vortice degli impegni quotidiani» (così nella sua prima lettera pastorale); al tempo stesso custodire una fede pensata, cristocentrica, declinata poi nella vita della polis, in una coerenza al Vangelo a cui sempre tendere: «Gesù educa i discepoli a guardare i problemi di fondo dell’uomo» (L’evangelizzatore in san Luca). E al tempo stesso, superare nel silenzio e senza polemiche le critiche di alcuni movimenti ecclesiali, o anche di parti politiche, per amore all’unità e grazie alla fortezza personale.

Abitare la profezia, con fatica e con coraggio: anche questo è stato un dono di Martini, il cui sguardo superava l’oggi. Un esempio, tra i tanti: la sinodalità, oggi così fortemente proposta da Francesco, sulla scia del concilio, che Martini aveva già posto come tema decisivo e come pratica durante la presidenza del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, intessendo relazioni e cammini con l’Est e con tutte le chiese del continente — sinodalità su cui intervenne allora il freno di Roma: i tempi forse non erano ancora maturi.

Ma la profezia martiniana era soprattutto sguardo che nasce dall’ascolto: dei poveri, dei carcerati («Entrando nel carcere, il Cardinale si commuove sempre. Anche questa sera», annota durante una visita a san Vittore il segretario nel suo diario personale), come degli intellettuali; dei sacerdoti come dei laici; dei credenti come dei non credenti; dei giovani soprattutto, come testimoniano le Conversazioni notturne a Gerusalemme, in cui il cardinale si pone in ascolto dei giovani europei, dando conto con onestà della sua fede, delle sue fatiche, dei suoi dubbi, delle sue speranze e sogni, su ogni tema: la Chiesa, Dio, la povertà, la giustizia, il servizio, la sessualità, la morte, la famiglia, la libertà. Alieno da frasi fatte, dal lessico ripetuto senza costrutto e da slogan senza senso, Martini ascolta, risponde, parla, si lascia provocare, incoraggia: «Rischiate la vostra vita. D’altro canto, chi dovrebbe mettere la sua vita su un piatto della bilancia, se non coloro che sono saldi in Dio!».

Mi sono chiesto parecchie volte in questi ultimi anni: “chissà cosa ci avrebbe detto Martini” di fronte alla pandemia, alle guerre, alle disuguaglianze, alle divisioni, alle fatiche della Chiesa. Sicuramente, credo, ci avrebbe indicato una pagina del Vangelo a cui tornare, su cui sostare, per cogliere l’azione di Dio, per metterci alla sequela, per far risuonare ancora la forza del kerigma. Ci avrebbe forse ricordato che Dio ha sempre cura di noi; e ancora, ci avrebbe aiutato a non farci prendere dallo sconforto, confidando in Dio che misteriosamente guida la storia, perché lo Spirito «c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi. A noi tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro» (Tre racconti dello Spirito).

L’eredità di Martini è grande e capace di ispirare per rispondere in modo intelligente e non ideologico alla domanda decisiva oggi: «Quale cristianesimo nel mondo postmoderno?» (titolo italiano di un suo bellissimo intervento edito su America, la rivista dei gesuiti statunitensi)… Oggi, nel XXI secolo, coi suoi drammi e le sue speranze. Là egli indicava alcune vie: «Non avere paura di ciò che è diverso e nuovo, ma consideralo come dono di Dio. Prova ad essere capace di ascoltare cose molto diverse da quelle che normalmente pensi, ma senza giudicare immediatamente chi parla»; esaminare tutto con discernimento; correre dei rischi; e poi essere amici dei poveri, frequentare la parola di Dio nella lectio divina, curare autocontrollo, silenzio, umiltà: «non cercare di soffocare lo Spirito negli altri, è lo Spirito che soffia. Piuttosto sii pronto a cogliere le sue manifestazioni più sottili».

Essere figli del nostro tempo e insieme provare a vivere da cristiani pensanti e non impauriti: a me, lo confesso, Carlo Maria Martini ha donato (anche) questo orizzonte di vita.
Lasciando cadere ciò che è decadente, guardando a ciò che è vivo e estremamente vitale.

Sergio Di Benedetto