“Un bel dì, vedremo
levarsi un fil di fumo
sull’estremo confin del mare
e poi la nave appare….
….Tutto questo avverrà, te lo prometto
tienti la tua paura
io con sicura fede
l’aspetto”
da “Madama Buttefly” di Giacomo Puccini, libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Madama Butterfly, alias Cio-Cio-San, la protagonista dell’opera di Giacomo Puccini, è una giovane donna giapponese che si innamora di un ufficiale navale americano, donandogli un amore profondo e appassionato. Lui invece sembra non essere altrettanto impegnato emotivamente nella relazione. Cio-Cio-San si aggrappa all’illusione che lui tornerà a prenderla e che il loro amore sarà ricambiato, nonostante le evidenze suggeriscano il contrario.
Emma Bovary (dal romanzo “Madame Bovary” di Gustave Flaubert) è insoddisfatta del suo matrimonio e cerca costantemente romanticismo e passione altrove, tentando di riempire il suo profondo vuoto emotivo. Anna Karenina, dall’omonimo romanzo di Lev Tolstoj, è coinvolta in una relazione segreta con il Conte Vronsky e la sua dipendenza emotiva da lui la espone a situazioni disastrose.
Jay Gatsby (il romanzo è “Il grande Gatsby” di F. Scott Fitzgerald), è ossessionato dall’amore per Daisy Buchanan e vive nella speranza di riconquistarla, nonostante le prove del contrario.
Cosa hanno in comune questi personaggi? Una relazione affettiva sbilanciata e tossica, che genera illusione e infelicità profonda. Pur trattandosi di personaggi inventati, siamo davanti a ottime descrizioni di quella che va sotto il nome di dipendenza affettiva, una condizione emotiva di prolungata e intensa sofferenza nelle relazioni, con segni clinici e subclinici caratteristici.
SEGNALI DA NON TRASCURARE
Si comincia col sentirsi incompleti o inadeguati quando non si è in una relazione romantica. Poi si mettono da parte i propri interessi e hobby per dedicare la maggior parte del tempo e dell’energia alla relazione, che diventa una preoccupazione costante, dove finisco per monitorare in modo ossessivo i sentimenti dell’altro e l’andamento del rapporto.
Il partner lo rivestito di una polverina d’oro, è perfetto, è quello ideale, i difetti e i comportamenti dannosi che mostra verso di me li considero del tutto marginali, o comunque come reazione a miei errori e “pretese”. Mi sento in grande difficoltà nel gestire e regolare le mie emozioni senza la costante presenza o rassicurazione del partner.
La situazione diventa più seria quando arriva la paura angosciante di essere abbandonati o lasciati soli, che può portare a comportamenti di attaccamento eccessivo. Sullo sfondo intanto cresce una percezione negativa di sé stessi, che può indurre a cercare costantemente conferme e validazioni esterne, a sacrificare in modo massiccio i propri bisogni, a vantaggio di quelli altrui e a discapito del proprio benessere.
La relazione è vissuta secondo una modalità fusionale, ho cancellato i confini e la mia indipendenza emotiva è ormai perduta. Spesso questo modello di relazione lo ho ripetuto con diversi partner, e sganciarmene mi sembra ogni volta davvero impossibile. Allora aspetto che lo faccia l’altra persona, salvo poi inseguirla e idealizzarla di nuovo…
Ovviamente in questo quadro incontriamo facilmente disturbi dell’umore, come depressione, ansia, panico.
COME SI SCIVOLA NELLA DIPENDENZA AFFETTIVA?
Non si cade per caso in trappole come queste!
Poiché, purtroppo, piove sempre sul bagnato, chi ha subito eventi di vita stressanti o traumatici, chi ha vissuto esperienze di abuso emotivo, fisico o sessuale, ha molta più probabilità di sviluppare una dipendenza affettiva.
Altri candidati ideali sono le persone che, nell’infanzia, hanno sviluppato stili di attaccamento insicuri, come l’attaccamento ansioso o evitante. Se sono cresciuta in un ambiente familiare con dinamiche relazionali disfunzionali, imparo ad amare così come sono stato “amato”, e riconosco l’amore solo nella formula tossica che ho ricevuto…
Facevamo cenno poco sopra a problemi di immagine di sé e autostima: possono essere non solo la conseguenza, ma anche il motore attivante di una dipendenza affettiva, in un avvitamento verso il basso dove l’effetto conferma la causa con tanto di interessi.
Il cercare approvazione e gratificazione dagli altri conduce a non rispettare i propri limiti nelle relazioni, mentre una forte sensibilità all’abbandono, la paura di restare soli, possono indurre a cercare in modo tanto eccessivo quanto inefficace la vicinanza emotiva altrui, aprendo la porta a chi la dipendenza affettiva la utilizza come elemento di potere e di dominanza nella relazione.
Infine possiamo sottolineare come un ruolo cruciale lo svolga anche l’ambiente culturale e il contesto sociale: una narrazione dell’amore in chiave infantilizzata o romantica, così come ruoli di genere marcati da una forte asimmetria, possono influenzare la propensione alla dipendenza affettiva. In altre parole, andrò incontro a quel che presumo sia amore indossando gli occhiali culturali del mio ambiente, e valorizzerò, nel mio e nell’altrui comportamento, ciò che sembra maggiormente conforme agli stereotipi socialmente dominanti.
IL PESO DELL’AMBIENTE
Le norme e aspettative sociali che riguardano le relazioni affettive possono influenzare il modo in cui percepisco e mi rappresento mentalmente la mia relazione di coppia. “Così fan tutte!” Anche le dinamiche familiari e gli input culturali che provengono dalla famiglia giocano un ruolo significativo nella formazione di modelli di dipendenza affettiva; le credenze e i valori di riferimento, i messaggi dei media e la cultura popolare possono influenzare la percezione delle relazioni, del valore dell’indipendenza e dell’interdipendenza. Posso aver introiettato modelli che guardano positivamente oppure, al contrario, stigmatizzano la dipendenza affettiva, e questo può cambiare il mio grado di consapevolezza e libertà nel chiedere supporto.
Anche le pressioni socioeconomiche, in contesti in cui l’indipendenza economica può essere difficile da raggiungere, possono influenzare questa deriva.
Forse, alla fine, il maggior fattore di condizionamento sono le aspettative culturali riguardo ai ruoli di genere, perché è su questa base che riceviamo influenze capaci di conformare il modo in cui ci collochiamo nelle relazioni ed entriamo nelle dipendenze affettive.
Ne consegue che, accanto all’aiuto psicologico e psicoterapeutico di cui ha bisogno chi sente di essere incappato in queste dolorosissime vicende, serve un grande e capillare lavoro di decostruzione culturale, che ponga sotto osservazione non solo i modelli familiari impliciti ed espliciti, ma anche gli stereotipi e i ruoli di genere veicolati dal cinema, dalle fiction, dalle canzoni, dalle serie tv e dai reality show, e oggi anche dai social network. Perché dipendenti affettivi non si nasce, si diventa. Magari lo si diventa molto presto, e poi inevitabilmente, come afferma il detto romanesco, chi pecora se fa, er lupo se ‘a magna… E così si conferma una triste immagine di sé e un triste destino.
Rosella De Leonibus