La pace proibita…

Lunedì 2 maggio, in diretta streaming dal teatro Ghione di Roma, Michele Santoro ha presentato una serata intitolata “La pace

iviamo nell’era dell’“ARMICENE”: da quando l’uomo ha fatto la sua comparsa sulla Terra, ha iniziato ad armarsi con armi da taglio fino all’era dell’Atomica e sono le armi a determinare il suo destino, oggi come non mai». Con questo testo scritto e narrato dallo street artist Sirante si è aperta la serata condotta da Michele Santoro presso il teatro Ghione in Roma, dal titolo provocatorio ma reale: “La pace proibita”. Elio Germano, poi, ha ricordato nel suo intervento la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, rifacendosi alla testimonianza di Gino Strada, mentre Luciana Castellina, co-fondatrice de Il Manifesto, ha concluso il suo lungo monologo con l’affermazione: «il nostro primo obiettivo non è fermare Putin quanto realizzare la pace».

Perciò la riflessione di Sabina Guzzanti si è concentrata innanzitutto sulla dinamica di un’informazione dettata dalla propaganda. È vero che in ogni dibattito è sempre presente il rappresentante della posizione pacifista o di quella, comunque, critica verso l’operato dell’Occidente. Ciò però avviene per le esigenze dei talk show, che hanno bisogno di mostrare un interlocutore verso cui dibattere. È a questa logica che risponde tale presenza, più che a quella di chi voglia dar voce, indifferentemente, a visioni anche opposte e a proposte diverse per arrivare alla soluzione del conflitto. Coloro che gestiscono la regia della trasmissione sono gli scrittori della sceneggiatura della stessa. La libertà dell’informazione è dunque inficiata dal modo di gestirla e di indirizzarla. È vero, in Italia non si va in carcere per aver espresso la propria opinione, ma si può sempre rischiare di perdere il lavoro per questo motivo

Perciò Fiorella Mannoia ha eseguito la canzone “Il disertore” di Boris Vian, scritta per protestare contro la gestione della Francia che passava dalla guerra in Indocina a quella in Algeria, ma che illustra bene le ragioni della popolazione che chiede al suo Presidente di non portarla a morire in guerra sui campi di battaglia. Tommaso Montanari (rettore dell’Università di Siena) ha ripreso il testo di Boris Vian nella traduzione, ancora più cruda, che ne ha fatto Luigi Tenco: i destinatari del grido della povera gente mandata a morire in guerra e vittima della guerra non sono chiamati “Signor Presidente”, ma “I Padroni della Terra”. Lo stesso Montanari, dopo aver recitato Trilussa e citato don Milani, si è allineato agli appelli che Papa Francesco sta rivolgendo alle parti in guerra per la cessazione di questo conflitto.

D’altronde sono reazioni comprensibili se pensiamo alle affermazioni lucide e chirurgiche del generale Fabio Mini, intervistato da Guido Ruotolo, sulle dinamiche del conflitto e dei protagonisti che lo muovono. In ogni caso, se in Italia l’80% degli italiani è contro questa guerra e l’80% dell’informazione è a favore di questa guerra o comunque la ritiene inevitabile, quindi è a favore della sua prosecuzione, c’è qualcosa che non va. Nel mondo ad oggi ci sono 138 guerre in via di svolgimento. Se il servizio informativo ce le mostrasse tutte raccoglierebbe lo stesso orrore, la stessa solidarietà con le vittime e la stessa indignazione da parte degli spettatori italiani, i quali chiederebbero che sia trovata una soluzione per la pace.

Per questo Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, ha ribaltato le accuse rivolte a chi chiede la pace. E alle domande – «Come lo fermate voi Putin? Con le preghiere? Con le manifestazioni? Con i cortei?» – risponde: «Perché? Voi come lo fermate? Con le armi? Con il braccio di ferro? Con la lotta “fino all’ultimo ucraino”?». E ha citato Gandhi, Martin Luther King, Mandela, Tonino Bello, Capitini, «tutta gente morta ammazzata o morta troppo presto».

Passando all’analisi storica, Fiammetta Cucurnia, vedova di Giulietto Chiesa, ha offerto una lettura degli eventi che hanno portato la Russia ai passaggi degli ultimi decenni: dalla politica di Gorbaciov per una nuova URSS che si relazionasse con le altre Nazioni (con una apertura impensabile prima di lui) alla promessa fatta dalla NATO di non entrare nei paesi limitrofi; dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica all’ingresso di Polonia, Ungheria, Bulgaria e Romania nella NATO; dal disastro provocato a causa del passaggio violento da un’economia socialista ad una economia di mercato, riducendo alla fame milioni di russi sotto Eltsin, sino al potere consegnato nelle mani dell’attuale presidente Putin. Per quanto riguarda l’Europa, la filosofa Donatella Di Cesare ha evidenziato che il concetto di Stato ha finito per diventare divisivo e dividente: l’Europa che volevamo e che vogliamo deve andare oltre gli Stati e oltre i nazionalismi, per realizzare una politica di coabitazione dei popoli.

Moni Ovadia, dal canto suo, si è rifatto ad una giornalista americana che si era chiesta come mai le forze armate ucraine, a partire dal battaglione Azov, fossero contraddistinte dai simboli e dalle svastiche naziste (e perché questo venga sminuito dai mezzi di informazione occidentali); come mai da decenni un paese NATO come la Turchia “macella” il popolo curdo e nessuno fa nulla. Una giornalista protesta: concentriamoci sul presente! Vauro Senesi, allora, ricorda il giornalista fotoreporter Andy Rocchelli, ucciso in Donbass nel 2014 da un colpo di mortaio (che si pensa sia stato volutamente lanciato dall’esercito ucraino, ma che è rimasto impunito). Mentre Santoro rievoca gli eventi che portarono alla “strage di Odessa” (con l’uccisione di 42 ucraini russofoni) nel maggio 2014, video-documentata da Paul Moreira nel 2016, e si chiede come mai Macron e Merkel, che dovevano essere i garanti per la UE, non abbiano fatto sentire la loro voce a Kiev per questi fatti. Fino a due settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina, d’altronde, la stessa UE ha negato la possibile soluzione prevista dalla attuazione degli accordi di Minsk, considerandoli “carta straccia”.

I tre intermezzi con i dati del giornalista del Sole 24 Ore, Gianni Dragoni, ci hanno presentato però, in maniera concreta ed inequivocabile (grazie alle proiezioni Onu), le più profonde ragioni della pace: la guerra sta producendo in primo luogo una drammatica crisi alimentare per la crescita dei prezzi del grano e di tutti gli altri prodotti (a fine mese la Tunisia non avrà più farina!). La crisi economica, dovuta alla crescita dei prezzi, si tradurrà in una inevitabile recessione. Tutto questo porta ad una previsione drammatica: un miliardo e settecento milioni di persone rischiano di finire in povertà! Da notare, invece, che se il PIL degli USA e dell’Italia sono crollati, “tiene” il settore delle armi: Lockeed Martin + 20 miliardi $ (+22%), Raytheon +11,8 miliardi $ (+9%); la Leonardo + 2 miliardi € (+56%).

Se non sono questi dati, da soli, sufficienti a farci considerare che la guerra non è la soluzione ma la causa di mali più gravi e catastrofici, allora, è indubbio dirlo, dobbiamo convenire che abitiamo in un’era che non può non essere riconosciuta come l’ARMICENE.

ALESSANDRO MANFRIDI