La generazione Z e la trascendenza incarnata in sé stessi

In un laboratorio in due classi di un liceo agli studenti è stato chiesto di pensare a un decalogo etico per la società.

Le nuove generazioni appaiono sempre più incredule nei confronti del divino e poco interessate a un possibile rapporto con esso. Ma quali sono i riferimenti che ritengono più importanti per la loro vita? Gilberto Borghi, insegnante di religione e pedagogista clinico, ha pensato di invitare i suoi studenti di due classi quarte di un liceo a costruire un proprio decalogo di regole etiche, dopo che avevano visto assieme quelle delle più grandi religioni mondiali. Il vincolo era che esse non dovevano essere pensate solo per la vita dei giovani, ma dovevano valere per l’intera società.

Nell’articolo su Vino Nuovo che riporta i risultati di questo laboratorio, si legge che non tutte le quattro aree relazionali in cui si possono tradizionalmente riassumere tutte le regole etiche delle varie religioni – divinità, sé stessi, altri, natura – sono prese in considerazione dalla cosiddetta generazione Z, quella dei nati tra la fine degli anni Novanta del secolo scorso e il primo decennio del nuovo millennio. Riguardo al rapporto col divino, solo uno ha scritto una frase che mostra un’attenzione alla trascendenza («non ti dimenticare che la vita ha un senso più grande di quello che appare»), mentre tutti gli altri non ne hanno fatto minimamente cenno.

L’area che è stata maggiormente considerata è quella del rapporto con sé stessi. Certamente, si deve tenere conto dell’età evolutiva e dell’attuale spinta ad accentuare l’attenzione verso di sé in un contesto socio-culturale di frammentazione antropologica. Però, dai vari decaloghi emerge il rispetto concreto del proprio corpo (sentito come «sacro», «unico e insostituibile», «dono», luogo dove incontrare «chi si è davvero»), dove la corporeità diventa la traduzione di un valore alto e altro, concetto non così evidente nelle generazioni precedenti. Sembra che trascendenza sia incarnata nei singoli e non ci possano essere regole per relazionarsi con essa perché si manifesta individualmente.

Le regole legate al rapporto con gli altri appaiono quelle meno trascendenti di tutte, in quanto prevale la sensazione di una specie di non componibilità tra gli “io” e di delimitazione degli spazi di reciproca influenza. Emerge dunque l’idea del “vivi e lascia vivere”, che quando viene oltrepassata può portare allo scontro. La relazione con le altre persone è percepita non come il luogo di un possibile incontro, ma quello dove contendersi spazio vitale. Nel rapporto con la natura, infine, emerge il rispetto verso la casa comune, spesso pensata, in relazione alle persone, secondo il concetto di karma, ovvero che ti ritorna ciò che fai. Questa circolarità vitale, non esente da tracce panteistiche, ha comunque un legame con l’assoluto.

L’impressione immediata dei decaloghi potrebbe portare a giudicare questa generazione come davvero incredula, ma bisogna riconoscere due cose. Questi giovani hanno innanzitutto abbandonato il concetto di contrapposizione tra immanente e trascendente, per cui l’eventuale accesso al divino sarebbe mediato dal sé, non dall’altro, e in termini percettivi, molto meno cognitivi. Poi, essi sembrano alla ricerca della propria identità per vivere un’esistenza sensata più che della libertà, da difendere e non da conquistare.