Dio è entrato in scena per primo, ma poi il creato si è trasformato grazie al lavoro dell’essere umano che lo coltiva e custodisce.
Un racconto sotto forma di mito che la Bibbia colloca alle origini della vicenda umana mostra il mondo che si sviluppa attorno a un giardino: il Paradiso terrestre. Ben preso, l’umanità capirà che l’Eden, considerato perduto, è un sogno da costruire insieme per non continuare a vivere nei deserti della solitudine e del dolore. La creazione, quindi, è un work in progress. La ha spiegato la biblista Rosanna Virgili alla quarantanovesima Settimana sociale dei cattolici italiani da poco conclusasi.
Nella narrazione, Dio entra in scena per primo, ma poi non è il solo a creare. Inizialmente, la Terra appare come una steppa perché manca l’apporto del cielo, ovvero la pioggia che la trasformerà un giardino, e dell’uomo, che sorge proprio dalla terra e, gestendo l’acqua caduta dal cielo con pozzi e canali, renderà fecondo il suolo. Il creato, così, si va trasformando grazie al lavoro dell’essere umano. Il miracolo della creazione è una corrispondenza a distanza tra lui e Dio.
Il racconto ci dice inoltre che il fiume che usciva dall’Eden si divideva in quattro corsi diretti a nord, sud, est, ovest, avvolgendo la Terra. Considerando che le grandi civiltà si sono sviluppare lungo le rive di grandi fiumi (il Nilo, l’Eufrate, il Gange…), questo equivale a dire che esse sono figlie di un’unica sorgente di vita. Tutti i popoli sono dunque connessi e, con le parole di Isaia, Dio dona loro un fiume di pace: «Perché così dice il Signore: “Ecco io farò scorrere verso di essa come un fiume la pace, come un torrente in piena, la gioia delle genti”» (66,12).
L’uomo è posto da Dio nel Paradiso terrestre perché lo coltivi e lo custodisca. Ciò non significa conservare, ma far sì che il creato venga rigenerato, che le aree deserte siano vivificate, che i territori non vengano abbandonati o distrutti per avidità. Custodire, poi, è l’arte della fraternità, perché ognuno di noi è custode non solo della Terra, ma anche della vita dell’altro che la abita con lui. Siamo nodi di una rete di relazioni che ci unisce a tutte le creature, presenti e future.
Metaforicamente, anche la Chiesa è un Eden che dev’essere coltivato e custodito. Per questo, all’interno di un’ecologia integrale serve un’ecologia ecclesiale. Per Virgili, soprattutto in Europa il giardino della Chiesa sta diventando simile a una steppa, dove coloro che sono preposti a coltivare e custodire sono sempre di meno. Questo declino non deve portare a mantenere in vita quel poco che resta, perché in questo modo non ci si accorge di tanta ricchezza spirituale che chiede di essere illuminata. Ciò significa che occorre riformare, abbattere muri, guarire ferite, per una “transizione ecologica” in cui vi siano fonti di energia alternativa: il modello di uniformità di carisma è debole e va superato con la biodiversità dei carismi, possibile con il concorso di tutti i credenti nella responsabilità di scelte e decisioni necessarie.