«Lucia Vantini (presidente Coordinamento delle teologhe italiane) analizza i Lineamenti per la Prima Assemblea sinodale, dove si parla del rapporto corresponsabilità-missione. E del ruolo delle donne.
«Non funzionerà nulla se non smettiamo di trattare la questione delle donne come un tema fra gli altri. Questa Chiesa ha bisogno di donne e uomini insieme, attratti dalla stessa promessa evangelica di una fioritura della vita». Così Lucia Vantini, presidente del Coordinamento delle teologhe italiane, va al cuore di una delle questioni chiave affidate al Cammino sinodale delle Chiese in Italia, come emerge dalla Quarta Parte dei Lineamenti per la Prima Assemblea sinodale. Che si apre oggi a Roma. E vede Vantini fra i partecipanti. Membro del Comitato nazionale del Cammino sinodale, la teologa è – nella sua diocesi, Verona – da pochi mesi delegata episcopale per la Prossimità. Il che permette a lei, donna e laica, di partecipare ad esempio al Consiglio presbiterale.
Tema molto sentito e cruciale – come emerge dalle sintesi diocesane – è anzitutto quello della presenza, del servizio e dei ruoli di responsabilità delle donne. Perché – come denunciano i Lineamenti – ci sono ancora tante resistenze? E quali vie praticabili sono suggerite per incrementare la presenza delle donne nei ruoli di responsabilità pastorale?
Sì, è un tema cruciale soprattutto per una comunità che voglia ripensare sé stessa alla luce del Vangelo. Ciò è vero almeno per due motivi. In primo luogo, perché senza le donne la storia cristiana sarebbe addirittura irraccontabile. In secondo luogo, perché la comunità nata dalla Parola del Cristo è fatta di discepole e discepoli che camminano insieme e che si lasciano guidare da un Dio vivente che, come scrive san Paolo, si fa prossimo al di là delle differenze etniche, sociali e sessuali.
Alla luce di queste evidenze minime, possiamo dire che le resistenze che si materializzano verso le donne, verso la loro presenza nei luoghi di decisione e di responsabilità pastorale, sono molto simili a quelle che ha incontrato Gesù: vengono tutte dal potere inteso come dominio e dalla paura di perdere qualcosa che non si dovrebbe nemmeno avere. Nei femminismi, queste resistenze vengono espresse attraverso immagini legate al cristallo, un materiale che non si vede ma che si fa sentire non appena lo si trova sulla propria strada: noi donne conosciamo il soffitto di cristallo, perché spesso urtiamo con qualcosa di nascosto che ci impedisce di arrivare nei luoghi dove si decide; conosciamo i recinti di cristallo, perché a volte sentiamo che i nostri fratelli non sono con noi e per quieto vivere o disattenzione si tengono lontano da ciò che ci sta a cuore; e conosciamo anche la “scogliera di cristallo”, quello strano fenomeno per cui solo nei periodi di grave crisi il mondo sembra accorgersi di noi per affidarci un ruolo tanto importante quanto estremamente rischioso.
Però vorrei ricordare anche un’accezione positiva del termine “resistenze”, che i Lineamenti non menzionano ma che possiamo comunque riconoscere tra le righe. Si tratta delle resistenze del nostro desiderio femminile che ci spinge a esserci comunque, nonostante tutte le fatiche e le ingiustizie. Si tratta dell’ostinazione appassionata di chi continua a credere in un sogno comune offrendo la propria intelligenza, le proprie narrazioni, le pratiche e le visioni profetiche condivise con altre e altri. Le vie “praticabili” emergono da queste resistenze positive, se solo sappiamo ascoltarne la voce.
Tema di fondo decisivo è il rapporto corresponsabilità-missione. I Lineamenti parlano di Chiesa battesimale “quindi aperta ai ministeri” e di “Chiesa tutta ministeriale”: cosa si intende? Nei Lineamenti, partendo dalle sintesi diocesane, si evocano anche nuovi ministeri ed emerge la necessità di una cura della dimensione vocazionale dei percorsi formativi…
L’idea di una Chiesa tutta ministeriale è problematica, perché rimanda a qualcosa di irreale: che nella comunità credente tutti i soggetti siano investiti di un ministero. Ciò non è vero e non sarebbe nemmeno sensato desiderarlo. Per questo motivo i Lineamenti mettono l’espressione tra virgolette e si affrettano a toglierla da ogni ambiguità: si vuole semplicemente portare l’attenzione sulla necessità che tutte e tutti mettano i propri carismi e le proprie competenze a servizio della Chiesa in modo che il popolo di Dio possa goderne. Non si creda che questa specificazione sia un modo per abbassare i sogni di una comunità giusta e profetica, perché essa custodisce la valorizzazione radicale del nostro battesimo: la corresponsabilità trova lì, non in altro, la propria matrice d’autorità e la propria energia pratica. Come ha detto Donata Horak in uno degli incontri di quest’anno con papa Francesco e il C9, «è l’iniziazione cristiana la fonte dalla abilitazione fondamentale di ogni battezzata/o a esercitare il munus regendi, a servire nella Chiesa anche in uffici e ruoli di potere». Si tratta però di uscire dalla logica che pensa e ordina il mondo secondo binomi irrigiditi, perché la linea di demarcazione tra carisma e istituzione, servizio e potere, misericordia e giustizia, mariano e petrino, femminile e maschile è sempre più complessa di come noi la disegniamo per riuscire a orientarci nel mondo.
In questa cornice, possono trovare senso nuove ministerialità ma anche nuove forme narrative, formative, liturgiche e pratiche, per una espressività evangelica condivisa e nutrita delle nostre differenze senza che queste diventino motivo di discriminazione o di gerarchizzazione. I Lineamenti, per esempio, ricordano che si potrebbe immaginare l’apertura al servizio della predicazione anche a soggetti laici che ne abbiano la competenza e il carisma. Ciò contribuirebbe a dilatare l’orizzonte del discorso attraverso altre forme di vita, altre biografie, altre esperienze. È appena uscito Senza indugio. Omelie per l’anno C, a cura del Coordinamento teologhe italiane. Si può già cominciare a sentire l’effetto che fa.
Come promuovere lo sviluppo del ministero del parroco in forma sinodale? Nei Lineamenti si parla ad esempio della formazione di équipe ministeriali…
La vita di un parroco oggi è particolarmente affaticata e caricata di aspettative e di responsabilità difficili da gestire. Per una serie di ragioni storiche ma anche per alcune mancanze nella formazione teologica e ministeriale, finiscono per cadere su una persona sola incombenze di ogni tipo, alcune molto lontane dall’espressività ministeriale in senso stretto.
La sete di spiritualità del clero più giovane, a volte sbilanciata sul versante emotivo, si spiega anche con la fatica di mantenere uno spazio di silenzio e di cura di sé e della propria fede. Allo stesso tempo, questo è un momento storico di crisi del cristianesimo, con le chiese che si svuotano, la Bibbia che va in dissolvenza, il mondo giovane che gravita altrove. La fatica si associa così alla malinconia della storia, e ciò può rivelarsi particolarmente drammatico sul piano delle biografie singolari ma anche su quello delle vite comunitarie.
Che fare, dunque?
Occorre partire dalla formazione in senso autenticamente sinodale, sviluppando tutti gli anticorpi possibili per eventuali clericalismi ingiusti, paternalismi dannosi ed eroismi narcisisti. È sempre l’alterità a custodire la nostra identità e la nostra differenza, e questo vale anche per chi fa il parroco. Un parroco non dovrebbe trovare una comunità che gli faccia da specchio, ma una comunità che sappia modulare nel senso della condivisione, della sinodalità e della corresponsabilità le sue parole, le sue prassi e i suoi sogni, ma anche le sue fatiche, le sue malinconie e le sue mancanze. Proprio oggi (ieri per chi legge, ndr), nel consiglio presbiterale della mia diocesi, ho sentito un prete affermare che lui non può immaginare il suo ministero senza pensarsi dentro un orizzonte di corresponsabilità missionaria e che per lui è prassi quotidiana la collaborazione con laiche e laici, anche riguardo aspetti celebrativi che per molte parrocchie risultano impraticabili.
Da dove viene questo guadagno simbolico e la forza di questo posizionamento pratico? Perché altri non sentono la stessa cosa, pur abitando lo stesso contesto? Come possiamo arrivare a questo frutto dello Spirito senza lacerazioni? Occorre agire a tanti livelli: educativi, formativi, canonici, teologici ed esperienziali. Per quello che vedo io, però, non funzionerà nulla se non smettiamo di trattare la questione delle donne come un tema tra gli altri, come un problema da risolvere, come un enigma da rimuovere. Questa Chiesa ha bisogno di donne e uomini insieme, attratti dalla stessa promessa evangelica di una fioritura della vita, disponibili alla cura di un mondo devastato, capaci di stare nella parzialità delle proprie differenze senza trasformarle né in privilegi né in difetti, solidali nella gestione dei conflitti e disposti a cercare insieme la pace.
Fonte: Avvenire Lorenzo Rosoli