III domenica del Tempo Ordinario; commento al vangelo

Letture: Neemìa 8,2-4a.5-6.8-10; Salmo 18; Prima Lettera ai Corinzi 12,12-30; Luca 1,1-4; 4,14-21

Tutti gli occhi erano fissi su di lui. Era appena risuonata la voce di Isaia: parole così antiche e così amate, così pregate e così desiderate, così vicine e così lontane. Gesù ha cercato con cura quel brano nel rotolo: conosce bene le Scritture, ci sono mille passi che parlano di Dio, ma lui sceglie questo, dove l’umanità è definita con quattro aggettivi: povera, prigioniera, cieca, oppressa. Allora chiude il libro e apre la vita. Ecco il suo programma: portare gioia, libertà, occhi guariti, liberazione. Un messia che non impone pesi, ma li toglie; che non porta precetti, ma orizzonti.

E sono parole di speranza per chi è stanco, è vittima, non ce la fa più. Dio riparte dagli ultimi della fila, raggiunge la verità dell’umano attraverso le sue radici ammalorate. Adamo è povero più che peccatore; è fragile prima che colpevole; siamo deboli ma non siamo cattivi, è che abbiamo le ali tarpate e ci sbagliamo facilmente. Nel Vangelo mi sorprende e mi emoziona sempre scoprire che in quelle pagine accese si parla più di poveri che di peccatori; più di sofferenze che di colpe. Non è moralista il Vangelo, è liberatore.

Dio ha sofferto vedendo Adamo diventare povero, cieco, oppresso, prigioniero, e un giorno non ha più potuto sopportarlo, ed è sceso, ha impugnato il seme di Adamo, ha intrecciato il suo respiro con il nostro respiro, i suoi sogni con i nostri. È venuto ed ha fatto risplendere la vita, ha messo canzoni nuove nel cuore, frantumi di stelle corrono nelle nostre vene. Perché Dio non ha come obiettivo se stesso, siamo noi lo scopo di Dio. Il catechismo sovversivo, stravolgente, rivoluzionario di Gesù: non è l’uomo che esiste per Dio ma è Dio che esiste per l’uomo. E considera ogni povero più importante di se stesso. Io sono quel povero. Fiero per fierezza d’amore: nessuno ha un Dio come il nostro.

E poi Gesù spalanca ancora di più il cielo, delinea uno dei tratti più belli del volto del Padre: «Sono venuto a predicare un anno di grazia del Signore», un anno di grazia, di cui Gesù soffia le note negli inferi dell’umanità (R. Virgili); un anno, un secolo, mille anni, una storia intera fatta solo di benevolenza, a mostrare che Dio non solo è buono, ma è soltanto buono. «Sei un Dio che vivi di noi» (Turoldo). E per noi: «Non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano. Un divino cui non corrisponda la fioritura dell’umano non merita che ad esso ci dedichiamo»” (D. Bonhoffer). Forse Dio è stanco di devoti solenni e austeri, di eroi dell’etica, di eremiti pii e pensosi, forse vuole dei giullari felici, alla san Francesco, felici di vivere. Occhi come stelle. E prigionieri usciti dalle segrete che danzano nel sole. (M. Delbrêl).

Ermes Ronchi
Avvenire

Le tre letture che ci dona di ascoltare la liturgia di questa Domenica ci danno di compiere come un viaggio nei tratti della Parola, nel suo essere annunciata, ascolta, creduta e amata proprio nell’esperienza liturgica. Un esempio meraviglioso l’abbiamo proprio nella prima lettura: c’è un popolo di fratelli e sorelle che ascoltano la Parola di Dio e a chi il popolo chiede di spiegare questa Parola fa solo un servizio per tutti, ma fa parte di questo popolo che ascolta piange e gioisce innanzi alla Parola di speranza che Dio dona. In questi primi passi nel tempo ordinario ci vengono subito consegnate la Parola e la liturgia come luoghi in cui imparare il senso e la forma della vita di ogni giorno.

Con la Parola del Vangelo ci spostiamo a Nazareth. È sabato e davanti ai fedeli che si accalcano nella piccola sinagoga di Nazareth, si alza a leggere la Scrittura un giovane nazareno, la cui fama sta cominciando a diffondersi anche oltre i confini del piccolo villaggio. Legge un brano di Isaia, chiude il rotolo e tutti in silenzio attendono le sue parole di spiegazione di quelle parole di liberazione e speranza. Gesù, il figlio di Maria e Giuseppe, dice una sola frase “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. La Parola di Dio fonte di speranza per poveri, ciechi, oppressi diventa carne ora, nella missione che Dio ha affidato a Gesù, si compie in lui. Gesù presenta la sua stessa vita come vangelo. Quello che lui dirà, farà e vivrà è in vista della vita altrui, è vita per altri. Gesù è l’interprete che condensa in sé la promessa: Gesù è la parola sintesi delle promesse divine e l’interprete cristiano,

Si passa quindi dalla centralità del testo scritto della prima lettura, alla centralità di Gesù di Nazaret che è colui che interpreta la Scrittura e diventa con la sua storia il criterio di una lettura cristiana nello Spirito delle Scritture. Non solo, ma anche la via di vita di ogni cristiano. Quello che qui all’inizio del suo ministero dice Gesù per la sua missione, alla fine del Vangelo di Luca Gesù lo dirà per la missione dei discepoli, della chiesa. In Lc 24 Gesù parla anche lì di un compiersi in lui delle Scritture rileggendo tutta la sua storia e di una liberazione che si compie e di cui tutta la chiesa è ora testimone e portatrice di una liberazione che apre nuovi inizi di vita nuova. Quindi la promessa che si compie in Cristo è chiamata a trovare il suo compimento anche oggi nei suoi fedeli, partendo proprio dall’ascolto amante della Parola. Mons. Ravasi in un suo libro riporta un detto giudaico che rivela una saggezza che aiuta anche i passi del nostro essere cristiani “gira e rigira la parola di Dio perché in essa vi è tutto. Contempla, invecchiati e consumati in essa. Da essa non ti allontanare. Da essa non ti allontanare perché non vi è per te sorte migliore”.

C’è però un aiutante in questa relazione credente con la Parola. “Lo Spirito del Signore [è disceso] su di me; perciò mi ha unto”: l’unzione dello Spirito in Gesù è in vista della missione. Sono lo Spirito e la Scrittura a condurre Gesù a questa consapevolezza mediante il lavorio della sua vita interiore. Questa è la via di ogni discepolo e di ogni discepola che non può comprendere e vivere la Parola se non mettendosi sotto la guida dello Spirito Santo, lo stesso Spirito che ha permesso alla Parola di farsi carne nel grembo di Maria. Preghiamo lo Spirito che ci doni di ascoltare la Parola e che essa provochi anche oggi in noi un varco nella nostra indifferenza, ci porti le lacrime della conversione e della gioia di questo annuncio di salvezza che essa porta, plachi le nostre ansie e paure portandoci a credere nella gioia pasquale, illumini i ciechi, sostenga a e liberi i poveri e gli oppressi.

“Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”. Lo Spirito infatti impregna anche la missione di Gesù e di conseguenza dei suoi discepoli. Gesù si sente inviato a liberare mediante la misericordia, l’amore e la compassione coloro che sono vittime dell’ingiustizia, poveri, ciechi, oppressi anche a a causa del proprio peccato. Le modalità con cui vive il suo incarico sono il farsi prossimo, la ricerca di solidarietà e di fraternità. Se Gesù afferma che ciò che egli realizza si pone in continuità con il piano divino annunciato dal profeta e compie le Scritture, allora l’umanizzazione, la restituzione dell’umano alla propria umanità, lottando contro ciò che la schiaccia, la deturpa, la svilisce, è la salvezza, compie la promessa della Scrittura.

Questo vuol dire che stare dalla parte dei poveri, degli emarginati anche a rischio della propria vita è parte costitutiva della fede cristiana. Ascoltare oggi questa parola significa non solo scoprire che noi siamo i destinatari della promessa che Gesù compie nella sua vita, ma che siamo chiamati a percorrere la sua stessa via in un ascolto della Parola che è vero solo se porta anche noi a dare la vita ad altri, ad ascoltare e farsi carico del grido del mondo, delle tante attese di liberazione. In questo saper ascoltare l’altro, riconoscerlo, consolarlo, noi, ciascuno di noi riceve vita, entra in un nuovo modo anche di vivere la vita sociale, è strappato dal suo arroccamento per entrare nell’anno di grazia del Signore in Gesù sulle vie del mondo.

Monastero di Sant’Agata Feltria