I recenti trasferimenti dei preti e le opportunità di cambiamento

Le recenti nomine disposte dall’arcivescovo, stimolano una riflessione condivisa che ci aiuti a guadare con serenità e fiducia il futuro che ci attende e i radicali cambiamenti necessari nelle parrocchie.

Un sentimento di frustrazione accompagna tanti preti e altrettanti laici e impedisce di riflettere sul prezioso contributo che invece potrebbero offrire le comunità coinvolte negli accorpamenti.

In queste nuove realtà è innegabile che ci saranno sempre più spazi da abitare, sempre più persone da curare, sempre più cose da fare, concentrate nelle mani di un numero sempre minore di soggetti, più precisamente di preti. La moltiplicazione dei loro incarichi, che non rallenta, li espone, quando va bene, all’impossibilità di essere pastori come vorrebbero, costretti come sono a correre di qua e di là, trascurando molte cose o agendo in modo affrettato; quando va meno bene, li sottopone a un serio rischio di burnout.

Il vero problema però, non credo sia la drastica riduzione del numero dei preti, ma una mentalità che ci impedisce di pensare un rinnovamento a 360°, senza rimpianti per ciò che manca, ma riconoscendo con coraggio, le sfide interessanti che, se accolte e affrontate con coraggio, possono avviare processi di cambiamento importanti in funzione di un rinnovamento auspicato.

Se guardiamo altri contesti sociali come i Comuni e la scuola, già da tempo oramai si è arrivati a forme di collaborazione e gestione trasversale delle risorse umane: Unioni dei Comuni e Istituti comprensivi.

Un coinvolgimento diverso delle Comunità parrocchiali e non solo dei parroci, potrebbe essere l’occasione per superare la mentalità autoreferenziale del campanile, e stimolare le Comunità per una pastorale più missionaria, non più circoscritta alla parrocchia, ma alle parrocchie, guidate da uno o due parroci.

L’era che stiamo vivendo sta evidenziando un forte calo numerico, non solo nella presenza alla vita liturgica della parrocchia, ma anche nella celebrazione dei sacramenti e nei servizi essenziali delle parrocchie (cura e decoro della chiesa, assenza di catechisti, operatori della carità, Ministri straordinari ecc.).

Da più parti si afferma la necessità che, per alcuni servizi siano le stesse Comunità a provvedere, attraverso animatori e animatrici competenti, catechisti, ministri straordinari, ecc. Insomma, se non bastano i preti, piuttosto che compiangerli, perché non se ne modifica il ruolo, in modo da riconoscere maggiore responsabilità ai laici (uomini e soprattutto donne) nella gestione parrocchiale?  Vorrei avanzare qualche piccola proposta, condivisa nel nostro ultimo incontro dell’anno pastorale con i preti, in occasione del nostro ultimo ritiro: credo possa aiutarci a superare la logica del campanile che molto spesso tocca più i preti che i laici.

Perché non mettere in rete alcuni settori della parrocchia avviando processi di condivisione e superando alcuni schemi secondo i quali in ogni parrocchia ci dovrebbe essere il tutto per vivere e molto spesso sopravvivere?  Alcuni esempi:

  • considerando la riduzione numerica dei catechisti e delle catechiste, perché non creare un unico gruppo di catechisti della forania o vicaria e unificare itinerari di educazione alla fede non più per classi scolastiche, (oramai ridotte per numero) ma per fasce d’età?  I vantaggi sarebbero enormi, a motivo del fatto che oggi i preadolescenti e adolescenti, subiscono i percorsi di preparazione ai sacramenti. La creazione di itinerari ad hoc a livello foraniale potrebbe costituire una buona occasione per aiutare i ragazzi a superare una visione opprimente di catechesi dottrinale e scolastica e accendere curiosità e stimoli nuovi, favorendo la loro naturale necessità di aprirsi a nuove conoscenze e al confronto. La possibilità di avere un unico gruppo di catechisti per la forania favorisce la dimensione missionaria dell’annuncio del Vangelo, potrebbe aiutare a far fronte a quelle problematiche presenti nelle piccole Comunità e che di fatto mortificano i reali carismi dello Spirito come dono per l’utilità comune. Ovviamente tutto questo andrebbe pensato, condiviso, pregato e coraggiosamente attuato.
    Forse assisteremo ad un ulteriore calo numerico nell’adesione alle proposte, ma credo anche che una proposta di questo genere, possa aiutare a mettere in luce motivazioni e convinzioni che stanno alla base del nostro pensiero.
  • Pastorale giovanile: stesso discorso per i gruppi dei ragazzi che hanno completato il processo di Iniziazione alla fede con la celebrazione della Cresima. Che senso avrebbe curare i pochissimi ragazzi che rimangono in Parrocchia, con l’esiguità dei mezzi che abbiamo nelle singole parrocchie e con la povertà delle nostre proposte? Perché non elaborare un progetto condiviso al quale mantenere fede e che possa soddisfare le vere esigenze dei ragazzi a livello interparrocchiale.
    E’ chiaro che occorrerà allargare gli orizzonti oltre la diocesi, per una proposta di educazione e accompagnamento nella fede che sia di qualità.
  • Stesso discorso dicasi per i gruppi Caritas: ha ancora senso parlare di Caritas parrocchiale davanti all’evidente manifestazione di fenomeni che vanno affrontati da più parti sul territorio in modo strategico, superando una visione assistenzialista che condanna le persone all’inattività e alla rassegnazione? Si continui pure ad assistere le famiglie che non arrivano a fine mese, ma quante di esse vivono condizioni di povertà ben più gravi di quella economia, con un forte rischio di emarginazione e rassegnazione sociale?
  • I cori parrocchiali: perché non pensare alla creazione di un coro zonale che possa animare le celebrazioni, non più soltanto nella stessa parrocchia, ma valorizzando gli importanti momenti caratterizzanti la vita di ogni comunità e favorendo una condivisione dei carismi per una migliore espressione del servizio? In ogni parrocchia, specialmente nel settore musicale, ci sono persone con una competenza e sensibilità da mettere a frutto, affinché la musica, nella liturgia, non sia più mortificata o sacrificata, ma ritorni ad essere un codice comunicativo che trasmette la bellezza del mistero.
  • Formazione delle diverse ministerialità: credo che ogni parrocchia, oggi, sia posta in condizioni di evidenti difficoltà nel far fronte alle esigenze di una formazione sistematica che vada oltre l’immediato e in funzione del “fare” ma persegua non solo corsi di formazione ma veri e propri itinerari di fede che siano reali esperienze di vita cristiana, al cui interno, la proposta formativa trovi il suo naturale e fecondo contesto.

Questi solo alcuni esempi, ma potrei citarne degli altri…

Credo che per una parrocchia che ha il coraggio di aprirsi a quelle vicine, le diverse attività non costituiranno un aggravio di lavoro per i parroci di turno, ma un’opportunità per riconoscere la creatività dello Spirito e riscoprire il senso missionario della Chiesa il cui volto, che piaccia o meno sta radicalmente cambiando.  Anni fa a Roma, in un interessante convegno, un prete di caratura profetica, parlando dei problemi delle parrocchie, così si esprimeva: «ci sono frammenti preziosi, tanta gente per bene, però bisogna metterla insieme perché la grande tentazione è rinchiudersi nelle isole». Riflettiamo, a questo proposito, come le nostre diocesi sarde e conseguentemente le parrocchie, rischiano di vivere ’l’isola nell’isola’ imprigionate dentro una concezione di gestione “privata” della parrocchia e delle diverse mansioni nella diocesi.

Chiediamoci allora: che Comunità stiamo preparando per il futuro immediato?

Nei piccoli cambiamenti ai quali assistiamo si ci si limita, molto spesso, a trovare le soluzioni del momento senza una prospettiva ad ampio respiro. Ma quale futuro ha una pastorale così, tutta ripiegata sull’immediato? E quale futuro hanno le nostre parrocchie, e più radicalmente la trasmissione della fede, e quindi la sopravvivenza della Chiesa, nelle nostre diocesi, specialmente in Sardegna?

Oggi, alcuni importanti documenti (ricordo solo: Il volto missionario delle Parrocchie in un mondo che cambiaSpiritus Domini e Antiquum ministerium), ci suggeriscono che i tempi sono maturi per alcuni fondamentali cambiamenti. Il momento è favorevole: siamo in pieno cammino sinodale, il cui scopo è arrivare insieme a delle decisioni che possono incidere profondamente sul volto della Chiesa come ricorda papa Francesco, «spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (Evangelii gaudium, 25).E allora, perché nella Chiesa non consolidare una forma di governance cooperativa, che di fatto vede coinvolti solo il vescovo e al massimo uno o due collaboratori, che superi la mentalità clericale della suddivisione dei compiti e dei poteri e attraverso di essa si strutturi un’azione pastorale esercitata da team, composti da uomini e donne, che esercitano i propri specifici carismi: alcuni ministri ordinati, altri ministri istituiti laici (sposati e singles) e religiosi, e ministri di fatto, perché sia visibile l’identità ministeriale di tutta la comunità.

Mi spingo oltre: perché non accogliere l’apporto dei laici nelle analisi e nelle decisioni pastorali legate anche ai trasferimenti dei parroci? In qualche diocesi italiana, sono realtà in qualche modo già presenti, che chiedono però di essere intese non come provvisorie (legata ai bisogni del momento, o alla scarsità di preti), ma strutturali, e quindi più adeguatamente e coraggiosamente normate.

Non si può più pensare a parrocchie dove il rapporto parroco e fedeli è esclusivo, ma forse è il momento di pensare a parrocchie che sono comunità composte da una rete di relazioni- collaborazioni-corresponsabilità trasversali, dove una pluralità di persone imparano a lavorare insieme, collaborano e stringono alleanze per il bene di tanti e possibilmente di tutti, per portare proposte di vita, attraverso la gioia del vangelo, in quante più case, a quante più persone.

don Alessandro