Qualche giorno fa, con ritardo ho pensato a Enrico.
Mi sono ricordato, ancora una volta, di quel giorno – l’ultimo insieme – in cui, nel momento del mio “fallimento”, Enrico mi ha guardato, “giudicandomi” apertamente con amore, senza pregiudizio.
Quegli occhi illuminati e sorridenti – di padre e amico – non li dimentico più! Mi citò un brano di Vangelo che gli era caro, ricordandomi che al banchetto di nozze del Signore, quando è Lui che ti invita, si deve andare col “vestito buono”. Di fronte a un invito alla mia vita, mi ero presentato col vestito delle paure, dell’ansia e della tristezza. Non andava bene. Ma non ero io che non andavo bene…
Ho pensato così alle parole del Papa ieri sul discernimento.
Una parte importante della questione è conoscere meglio sé stessi, che «non è difficile, ma è faticoso: implica un paziente lavoro di scavo interiore. Richiede la capacità di fermarsi, di ‘disattivare il pilota automatico’».
Il discernimento «richiede anche di distinguere tra le emozioni e le facoltà spirituali. ‘Sento’ non è lo stesso di ‘sono convinto’; ‘mi sento di’ non è lo stesso di ‘voglio’».
E poi la parte che mi riporta subito con la memoria a quel momento con Enrico, e a quello sguardo su di me, per me: mi aiutò a vedere meglio me stesso: «La tentazione non suggerisce necessariamente cose cattive, ma spesso cose disordinate, presentate con una importanza eccessiva. In questo modo ci ipnotizza con l’attrattiva che queste cose suscitano in noi, cose belle ma illusorie, che non possono mantenere quanto promettono, e così ci lasciano alla fine con un senso di vuoto e di tristezza. Quel senso di vuoto e tristezza è un segnale che abbiamo preso una strada che non era giusta, che ci ha disorientato».
Avevo preso la strada sbagliata (in quel momento), anche se sembrava fossi su quella giusta, anzi, su una strada bellissima. E così arrivò la tristezza.
Ed ecco qui spuntare nel mio cuore anche Diego. Li ho pensati insieme, i miei ‘santi in Paradiso’. Tra Piombino e Mendoza ci deve essere una linea di comunicazione speciale e impercettibile.
Ho pensato che li accomunava il piacere di incontrare davvero le persone ‘sull’altare sacro’ della mensa di casa, e lo sguardo. Uno sguardo che salva e che vede sempre il buono possibile in chi ha di fronte.
Un modo di essere amici dalle parole chiare e dirette, senza altro motore che l’affetto fedele; un’amicizia ‘partigiana’ senza essere cieca e faziosa, ‘nella verità’ senza essere crudele, disposta a tutto, anche a sostenere il silenzio.
Simone Sereni