Chiusa l’esperienza sul campo della Giornata Mondiale della Gioventù, cosa resterà delle riflessioni negative o distruttive lette nei giorni scorsi, e per lo più scritte da alcuni cattolici sempre scontenti? Mi ricordano qualcosa: «Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere».
Non importa che vi abbiano partecipato in passato o solo seguito a distanza, è bastato fare sorgere il dubbio sul valore, che è molto diverso dal porre delle domande con senso critico come altri giustamente hanno fatto. Ecco le questioni dei primi: la GMG è un’iniziativa d’altri tempi e dunque vecchia per il nostro; i temi trattati sono lontani dalla realtà; è organizzata dagli adulti senza protagonismo giovanile; c’è molta confusione, troppa festa e poca preghiera; in certi momenti è più un rave party che un raduno religioso; il Papa viene idolatrato; molti giovani partecipanti non seguono gli insegnamenti del Catechismo soprattutto in ambito sessuale; è una specie di prova di forza e di conta della Chiesa senza riscontro nel quotidiano.
Uno su tutte ricorre ovunque e va chiarita ormai conclusa la GMG: dove sono questi giovani nelle nostre comunità? Il dubbio e la domanda presuppongono a priva vista l’assenza, di chi li pone (e non dei giovani!), dalla vita comunitaria o un punto di osservazione miope oppure distratto. Infatti, i giovani che si trovavano a Lisbona si sono iscritti attraverso le più diverse realtà ecclesiali: parrocchie, oratori, centri giovanili, scuole e università cattoliche, associazioni, movimenti, gruppi. Il che significa che li frequentavano, ne erano a contatto in qualche modo, li conoscevano tramite chi vi era impegnato, vi si dedicavano come animatori o catechisti, vi passavano del tempo libero. Cioè, se sono stati a Lisbona, erano pure nella mia o nella tua realtà ecclesiale prima di partire: da quando erano in fasce, da ragazzi, da giovani, per poco o molto tempo, per caso, per “contagio”, perché fidanzate o fidanzati con chi li frequenta, per sentito dire.
Che importa? Possibile che per molti adulti impegnati nella Chiesa i giovani nelle comunità debbano essere solo con determinate caratteristiche e seguire certe regole, meglio se le nostre o a nostra immagine e somiglianza? Anziché gioire e ringraziare il Signore poiché stavano vivendo questa importante esperienza di fede nel presente, ci si lamentava per un prima che è stato e per un dopo che sarà, dunque per niente. Anziché pensare a come accoglierli, ascoltarli e valorizzarli al rientro, si innalzavano le barriere de “ai nostri tempi era diverso” e del “si è fatto sempre così” in modo da mettere le mani avanti. Se qualcuno si fosse iscritto solo per curiosità, lo avesse fatto autonomamente, avesse conosciuto la Chiesa per la prima volta così, fosse partito per amore della ragazza o del ragazzo, ciò sarebbe stato un male?
E comunque, solo guardando meglio le foto e i video postati, curiosando un po’ nei profili social dei singoli o dei gruppi in Portogallo, ci si sarebbe accorti di quanta vita ecclesiale c’era e c’è: Grest ed Estate Ragazzi, campi scuola e uscite scout, raduni di movimenti e associazioni, attività di volontariato missionario ad intra e ad extra. Insomma, sbagliamo sempre quando crediamo che la salvezza venga da noi, provando a limitare la Grazia di Dio che agisce come e dove vuole, persino alla Giornata Mondiale della Gioventù! Adesso che sono rientrati, che la Provvidenza ha fatto la sua parte, quegli adulti sapranno fare la loro o avranno altro da ridire?
Marco Pappalardo