
Si è concluso a a Roma, il decimo Incontro mondiale delle famiglie, che portato a termine il lavoro di un intero anno su Amoris Laetitia. In questi mesi, dunque, ci dovrebbe essere stata un’attenzione particolare al tema della famiglia nelle attività comunitarie, anche in sovrapposizione ai vari cammini sinodali. Varrà la pena allora porre luce su una situazione che interseca quella familiare e riguarda l’oggi in modo molto forte, ossia quella delle convivenze.
In Italia, nel 2020 si registravano un milione e mezzo di convivenze; un figlio su tre è nato in coppie conviventi. Sono dati che gli operatori pastorali impegnati nei vari cammini di preparazione al matrimonio conoscono bene, poiché nei vari ‘corsi fidanzati’ la maggior parte delle coppie è ormai convivente, non raramente con figli. Si tratta di coppie che arrivano alla scelta del matrimonio religioso (vuoi per convinzione, vuoi per convenzione) dopo anni di convivenza. E questa è comunque una percentuale minoritaria di tutte le coppie conviventi, dove cioè vi sia un’unione stabile tra un uomo e una donna (tralascio volutamente le coppie omosessuali perché ciò implica altri temi pastorali ed ecclesiali). Dunque, di fronte a questi numeri, che sono poi realtà quotidiana – chi non ha amici, conoscenti, parenti conviventi? — la domanda sorge d’obbligo: che tipo di pastorale ordinaria pensiamo e attuiamo per le coppie conviventi? Parlo delle coppie, prima che dei figli (questo meriterebbe un ragionamento a parte).
La nostra pastorale troppo spesso sembra oscillare tra l’oblio e la finta indifferenza da un lato e il proselitismo dall’altro, ossia da una parte facciamo finta che certe situazioni, che pur riguardano molte persone, non esistano; dall’altra, appena accostiamo una coppia convivente (magari per il battesimo di un figlio), avvertiamo il pregiudizio di una ‘mancanza relazionale’ e sentiamo subito il dovere di ‘suggerire’ le ‘nozze religiose’, quasi riflesso incondizionato ereditato dai tempi in cui sposarsi significava ‘sanare’ e ‘regolarizzare’ situazioni ‘irregolari’. O meglio: l’unica proposta pastorale che non raramente sappiamo fare e che riusciamo a pensare è quella del matrimonio religioso, per cui a una coppia convivente la comunità cristiana sembra poter offrire solamente il percorso del matrimonio religioso. Ma questo è davvero efficace, è davvero buono, è davvero evangelico, è davvero intelligente, cioè capace di leggere ciò che è la realtà?
Pensare a una pastorale per i conviventi, che colga i semi di amore, di fecondità, di stabilità, di grazia presenti in tali relazioni, valorizzarli, accoglierli, aprendo pure a un reciproco dialogo tra esperienze, non significa sminuire o negare la fede cristiana nel sacramento del matrimonio, ma significa invece cogliere le situazioni reali, guadare alle vite delle persone, saper comprendere i cammini, avere il coraggio di farci evangelizzare. Non possiamo relegare l’incontro tra la comunità cristiana e le coppie conviventi solo al momento in cui esse decidono il matrimonio religioso. Se questo non accade per anni, ci limitiamo a ignorare tali esistenze? Abbiamo fede nella forza e nella bellezza del sacramento matrimoniale, ma dobbiamo anche osare altro, evitando il terribile malinteso di strumentalizzare situazioni per raggiungere uno scopo che rischia di essere meramente ‘normativo’ se non nasce da una libera risposta a un cammino interiore e di coppia. Non sempre, non subito, non obbligatoriamente deve agire il ‘riflesso regolarizzatore’ (forma giuridica della purità sessuale come prima preoccupazione).
È importante, mi pare, poter dire che in ogni situazione di vita c’è una Parola buona per le persone; in ogni situazione di vita c’è un seme dello Spirito; in ogni situazione di vita è possibile una sequela del Cristo, che sarà sempre un po’ zoppicante, un po’ incerta, magari con intensità differenti. Ma Cristo è per tutti, non per alcuni. È uno dei nuclei di Amoris Laetitia, ma soprattutto di Evangelii Gaudium. È urgente pensare a una pastorale che abbia a cuore anche le coppie conviventi, che superi la dialettica lecito / non lecito (che nel quotidiano parrocchiale diviene un semplice: chi può fare la comunione? Chi può confessarsi?), che non marchi differenze tra battezzati in classi di merito. Anche i recentissimi Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale (pur dentro spinte non sempre armoniche e armonizzate) dà qualche margine teorico di lavoro,[1] sebbene sempre subordinato a una proposta di matrimonio cristiano (come è ovvio, data la natura del documento).
Ancora con fatica tentiamo di uscire dal modello familiare ‘Mulino Bianco’, aggiornamento del ‘modello santino’, per una visione ben più concreta, complessa, meno schematica della vita familiare. Ma è il tempo di pensare oltre gli schemi, è tempo di farci sollecitare da quello che è vita quotidiana di molti. Al pozzo di Samaria, Gesù non disse alla donna ‘regolarizza’ la tua situazione, mettiti a posto con le norme della purità, ma si fece accanto per domandare, ascoltare, dialogare, dire che lì era giunta la salvezza della sua vita. Al pozzo di Sicar, forse, dovremmo tornare e capire che c’è acqua da attingere per tutti. Le scelte magari potranno essere conseguenti, nella libertà dei figli di Dio. Ma non saranno il fine del nostro farci accanto.
Sergio Di Benedetto