Premetto di essere fortunato dell’essere parroco: una piccola parrocchia da accudire (poco più di 500 abitanti), in zona periferica, con case sparse come avviene nella mia Regione; da 38 anni parroco della stessa parrocchia, vivendo una vita che si occupa di problemi difficili: disabili, malati psichiatrici, minori, ragazzi dipendenti, con le difficolta della gestione di servizi, con una struttura equiparabile ormai ad una media azienda.
Eppure, nel lontano 1984, chiesi all’arcivescovo di diventare parroco, anche se con impegno relativo. Volevo essere prete amministrando i sacramenti, celebrando l’eucaristia con il popolo cristiano.
Riflettendo molto sulle vicende della Chiesa italiana, ho cercato di capire la situazione per poter rispondere pastoralmente alle sfide presenti.
Anche in periferia si registra la crisi religiosa: partecipazione alternante ai riti, convivenze invece che nozze religiose, sacramenti richiesti con poca convinzione, allontanamento dei giovani, pietà popolare frammista alle sagre, prevalenza di anziani alle pratiche religiose.
Eppure non sono mai andato in crisi perché la nostra religione è di una grandezza che non teme confronti: il nostro Dio valorizza il mondo (creato, animali, persone), è misericordioso e soprattutto garantisce libertà, offrendo la prospettiva di vita immortale.
L’umano
Per utilizzare uno schema e capire il cambiamento, è utile ricorrere a quattro dimensioni del vissuto di ognuno: l’umano, lo spirituale, il religioso, il cristiano.
Per umano è da intendersi la vita reale così come si svolge in occidente e in Italia. Le trasformazioni, in termini di territori abitati, di lavoro, di cultura, di istruzione, di comunicazione sono enormemente cambiate. La pandemia e la guerra in Ucraina hanno accelerato e anche drammatizzato il cambiamento.
Le migrazioni interne ed esterne sono state consistenti; l’istruzione è salita alle scuole superiori, il lavoro sta ancora oggi cambiando, i mezzi di comunicazione hanno stravolto il clima di quartiere e di paese vissuto qualche decennio fa.
La sintesi del cambiamento è percepibile nelle classi di età dei 40-50enni. I passaggi di tradizione, di visioni e anche di valori non si sono trasmessi in automatico tra generazioni. Pur rimanendo i legami di affetto e di sangue, i nuovi adulti sono diversi dai loro genitori. Figurarsi dai nonni.
Anche su temi delicati come la famiglia, l’educazione della prole, la casa, il tempo libero, l’affettività, la fratellanza, il valore della vita, la distanza è enorme e vissuta senza continuità: un salto vero e proprio verso nuove sintesi.
Di fronte a tali trasformazioni, la pastorale è rimasta sorpresa, con tentativi di adattamento che, sostanzialmente, non hanno invertito le tendenze di distacco dalla religiosità.
Le stesse figure dei sommi pontefici che si sono susseguite negli ultimi cinquant’anni non hanno aiutato: la figura amata di papa Giovanni, le sofferenze di Paolo VI dopo il Concilio, i 33 giorni di Giovanni Paolo I, il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, la figura riflessiva di Benedetto XVI e ora il papato di papa Francesco hanno apportato accentuazioni pastorali nobili e preziose, ma senza continuità e, per usare un concetto forte e forse abusato, non hanno indicato la via di “riforma”.
A ben riflettere, l’organizzazione della Chiesa e i suoi valori fondanti sono gli stessi del Concilio di Trento (1545-1563). È utile rileggere i decreti di quel Concilio. Per carità, le riflessioni del Concilio Vaticano II, la riforma liturgica, la riscoperta della sacra Scrittura, le costituzioni conciliari sulla Chiesa, sull’ecumenismo, sul rapporto con il mondo, sui laici sono stati contributi significativi.
L’organizzazione ecclesiastica non è cambiata; i punti fondanti sono gerarchici: dal papa ai parroci. Non a caso, in questi ultimi tempi, si sta riflettendo sulla sinodalità. Se lo schema rimane lo stesso, il mondo moderno patisce l’incongruità di una simile organizzazione. Le riforme proposte non cancellano quel clericalismo che ha cambiato volto rispetto al XVIII secolo, ma che rimane inalterato, nonostante i progressi.
In questa riflessione, che può essere lacerante, non aiutano i contributi dei biblisti, dei liturgisti, dei moralisti e dei canonisti, dei pastori. I pensatori scarseggiano e troppi sono diventati esegeti di quanto l’autorità propone. In alcuni casi addirittura incartandosi in distinzioni e dettagli comprensibili solo a una piccola ininfluente cerchia di studiosi.
Lo spirituale
Nonostante i cambiamenti, la dimensione spirituale è vissuta dalle persone. Le occasioni sono molte: la cura dei propri cari, la coscienza civica aumentata, gli atti di generosità singola e di gruppo, l’attenzione al creato, la preoccupazione per il futuro, la teoria dei diritti; pensieri e azioni sono nel cuore delle persone, anche se – come dice il libro della Sapienza – «un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni».
Spesso le manifestazioni della dimensione spirituale non hanno origine e caratteristiche chiaramente cristiane, ma non per questo si possono dichiarare estranee: il rispetto della natura e delle persone anche se straniere, la valorizzazione della donna, la lotta alle disuguaglianze, la vivibilità delle città, una sana gestione del tempo libero, l’attenzione alla storia.
Il problema vero è che, nel pensiero corrente cristiano, quando i fenomeni non hanno l’etichetta di cattolici, sono visti con diffidenza e non si riesce a leggere sempre le novità che hanno consonanza con la nostra religione.
È vero che, soprattutto all’origine di nuove intuizioni, coesistono esagerazioni e problematicità; eppure, siamo in ritardo nell’attenzione alla salvaguardia del creato o al rispetto di ogni creatura, a prescindere dalla lingua, dalla religione, dal ceto e dal colore della pelle. La nostra religiosità è così percepita come chiusa, antica, privilegiata. Appelliamo alla nostra dottrina, dimenticando che, nei secoli, la stessa dottrina è evoluta, stando attenta a nuove intuizioni e a nuove sintesi.
Ritenersi portatori di verità, non significa non essere coinvolti nelle culture che nel tempo evolvono. La storia della Chiesa insegna lo sforzo di coniugare i dettati del Vangelo con le civiltà dei popoli. La dottrina sui sacramenti ha occupato lo spazio di molti secoli per giungere alla sintesi certa che oggi utilizziamo.
I Vangeli hanno offerto la linea di condotta, non garantendo formule e soluzioni per ogni aspetto della vita.
Il religioso
Difficile oggi definire la religiosità vissuta. Gli studi di sociologia religiosa indicano le percentuali di frequentazione ai riti, ma il senso religioso è più complesso e difficile anche da scoprire.
Ricordi, pensieri, emozioni, certezze si mescolano nell’anima, con la caratteristica che ogni individuo ha un proprio senso religioso.
È terminato lo schema della “società cristiana” che offriva la sintesi definita in ogni suo aspetto: economico, sociale, culturale e morale, entro cui si cresceva e si moriva.
È stato impressionante assistere ai riti della morte della Regina d’Inghilterra che, oltre ad essere regina di un impero, era anche governatore supremo della Chiesa d’Inghilterra, come stabilito dall’Atto di supremazia del 1534 che l’aveva affidato per la prima volta a Enrico VIII. In questo caso, appellare ai principi di umiltà e di servizio suggeriti dai Vangeli è decisamente difficile.
Il nodo della religiosità moderna è il rapporto problematico che si è creato tra coscienza singola, parola di Dio e mediazione della Chiesa.
La persona adulta di oggi ritiene che l’ultimo giudizio di ogni convinzione e comportamento è affidato alla propria coscienza, senza alcuna mediazione.
Un fenomeno che ha coinvolto i vari spazi dell’esperienza. La filosofia, la scienza, la politica, la morale e anche la religione non sono affidate a nessuna autorità. Ciò che i mondi sociali esprimono sono sottoposti a verifica personale.
Se questa impostazione è utile per le condotte responsabili, nasconde anche ignoranza e arroganza. L’esempio lampante è stata la vicenda della pandemia: ognuno è diventato medico di sé stesso, andando a scegliere l’esperto che avesse sostenuto la tesi di sottoporsi o sottrarsi ai vaccini, pur non avendo conoscenze adeguate per scegliere.
Per la religione questo atteggiamento è gravissimo in quanto è messa in discussione la funzione della Parola sacra e della Chiesa, fino ad arrivare ad accogliere o a negare l’esistenza di un Dio. Ancora più seria è la circostanza che questo Dio appare e scompare, secondo il proprio sentire nelle varie fasi della vita.
Il cristiano
In questo contesto è difficile vivere da cristiano. Sono stati molti i tentativi di indicare strade nuove: la riscoperta della parola di Dio, la riforma liturgica, la catechesi battesimale, la nascita di movimenti e aggregazioni; tentativi che non sono riusciti a risvegliare l’autentico spirito evangelico.
Le stesse vocazioni religiose sia del clero diocesano sia degli ordini religiosi stentano a offrire prospettive; le chiamate alla vita religiosa nelle congregazioni femminili registrano anch’esse scarsa attenzione. Né all’orizzonte, salvo interventi miracolosi, si intravvede il lampo della conversione.
Sono infatti due gli immensi ostacoli che rendono lontana oggi la proposta cristiana: il benessere e l’individualità.
La vita moderna si è talmente materializzata da arrivare alla mercificazione dei sentimenti: tutto ha un prezzo, la stessa felicità è incorporata alla gestione della corporeità. In parole esplicite, significa che non esiste o non è influente l’orizzonte dell’anima. La dimensione spirituale è afona; si ferma alla propria coscienza e sceglie strade proprie, frutto di un mix mobile, composto da ricordi, scoperte, emozioni.
L’individualismo rifiuta ogni indicazione eterodiretta: non esiste la verità se non quella che l’individuo elabora. Nessuno, nemmeno chi dice di narrare Dio, può avere l’autorevolezza di indicare la via. L’esperienza del divino è propria e oscilla tra gli oroscopi e gli angeli, tra i santi e lo yoga, tra la passione di Cristo e il santo rosario.
La proposta
Di fronte a simili scenari la strada per la proposta religiosa è obbligata a entrare in dialogo con la storia di ogni persona.
Le occasioni di una pastorale specifica del parroco non sono molte: l’omelia domenicale, la celebrazione dei sacramenti, la pietà popolare, alcuni gruppi di animazione, le opere educative e sociali.
La premessa necessaria è non aver paura di incontrare le persone. Il cristiano è una delle poche figure che svolge una “missione”; non è professionista, né specializzato, ma offre ciò a cui crede: può essere sacerdote, religioso/a, catechista, diacono, cantore, padre e madre di famiglia, ragazzo/a.
Non ha paura di incontrare problemi materiali e spirituali. Ascolta e aiuta.
Nell’interscambio incrocia sedimenti materiali e spirituali, religiosi e umani. Interviene cogliendo le peculiarità di ogni dimensione.
La proposta religiosa non è mai matura, ma attraversa gli strati dell’umano, non si affanna ad arrivare alla verità: non deve trionfare, ma rimanere strumento e testimone del percorso personalizzato. Non si preoccupa nemmeno di come andrà a finire. Non spetta a nessuno concludere.
L’obiezione comune: ma dobbiamo proclamare l’annuncio della verità, come suggerisce il testo di Marco «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». Ma nessun testo biblico suggerisce come annunciare. Il nostro mondo passa attraverso la comprensione e l’accettazione del messaggio di chi offre qualche segno di cristianesimo. Soltanto quando chi avrà percepito e accolto la “bellezza” di questo messaggio, vi aderirà: progressivamente, con incertezze e contraddizioni, esattamente come avviene per il testimone che lo propone.
Un merito
Il merito di questa proposta è il rispetto della dignità delle persone, per la mancanza di giudizio, per la scoperta di possibilità di incontro con il Vangelo.
Momenti privilegiati di colloqui pubblici sono l’omelia, l’amministrazione di alcuni sacramenti, occasioni più spiccatamente operative (centri di accoglienza, missioni, scuole paritarie, gruppi biblici, liturgici, aggregativi). Le verità proclamate, con i Catechismi, i documenti ufficiali della Chiesa, servono più a non perdere il filo della proposta che all’esposizione delle verità.
L’esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco ha espresso molto bene a che cosa serve l’omelia: «Chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio, e anche dove tale dialogo, che era amoroso, sia stato soffocato o non abbia potuto dare frutto» (n. 137).
L’amministrazione di alcuni sacramenti è ottima occasione di proposte spirituali. La nascita di una creatura è un miracolo vivente; vivere la crescita fa scoprire la grandezza della natura (dio). È un dono immenso che riempie l’anima. San Luca ha scritto: «E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini». Non è difficile appellare ai valori fondamentali della vita nell’educare i propri figli.
La celebrazione delle nozze avviene quasi sempre dopo una convivenza tra fidanzati. L’annuncio ufficiale di formare la famiglia è l’occasione di una maturità umana e religiosa perché l’annuncio è dato al mondo di fronte ai familiari, agli amici e a Dio.
L’innamoramento, l’affetto, il rispetto sono anch’essi doni da godere e da preservare. Nelle dinamiche relazionali tra gli sposi si scopre il mistero che spinge all’unità l’uomo e donna. Approfondire il mistero, rendendolo pratico nella vita è l’impegno dei due che si sono scelti.
Un’occasione spesso dimenticata è la celebrazione dei riti funebri. Eppure, di fronte alla morte si esprime la sintesi tra il limite e l’immortalità: il desiderio che la vita non vada perduta. Solo Dio può rendere reale questo desiderio.
Le poche persone che chiedono di confessarsi sono oberate da pesi vissuti. Non è vero che sia assente la coscienza dei limiti e degli errori. La terza formula collettiva di assoluzione andrebbe utilizzata maggiormente: i tempi dell’Avvento e della Quaresima sono i più adatti, in attesa del moto di conversione che giustifica la confessione personale dei peccati.
Il sacramento della confermazione va collegato al periodo turbolento dell’adolescenza; una fase della vita difficile da interpretare persino dai genitori. Accompagnare la crescita verso la giovinezza è un impegno che richiede nell’adulto una grande capacità di pazienza, di ascolto e di guida.
La celebrazione dell’eucaristia va sottratta alla rigidità (freddezza) del rito. Abbiamo rese sterili le formule. La cena del Signore, nella drammaticità dell’attesa della Passione, ha tutte le caratteristiche di un incontro familiare. Gli stessi Vangeli raccontano del modo di agire e di parlare del Signore: attento alle circostanze, con un linguaggio adatto a chi l’ascoltava, con la dialettica di chi si opponeva a lui, con la pazienza per gli apostoli che non lo comprendevano.
Abbiamo reso marmorea ogni sua parola e atteggiamento: eppure la storia delle primitive comunità racconta il lento evolvere della liturgia, mantenendo viva e pulsante la celebrazione. Una sfida enorme per combattere la staticità del culto.
Nelle iniziative pratiche di impegni culturali, educativi, sociali, dei cristiani si può scoprire il perché della loro azione: non sono operatori sociali, ma persone che credono nel Vangelo.
Soltanto nel lento procedere della conversione si scoprono le “verità” del cristianesimo, coscienti che la via della santità (pensare e vivere come Dio) è un continuo cammino, irto di imperfezioni e di dubbi. L’umiltà di essere imperfetti salva la retta coscienza.
La pietà popolare è una grande risorsa: è vissuta con affetto e convinzione. Sceglie qualche dettaglio della vita religiosa passata e presente. Avvicina al divino; spesso privilegia la figura della Madonna, madre di Dio. Moti dell’anima che portano in alto; non sempre diretti e limpidi, ma almeno autentici.
Leggendo e rileggendo i Vangeli, pur nella preoccupazione di indicare verità, il mondo narrato, le parole usate, le circostanze osservate fanno emergere un Gesù molto quotidiano che vive tra la propria gente; ne percepisce le sofferenze, ne osserva le abitudini, pur essendo figlio di Dio.
La catechesi di periferia è il “modo” per accompagnare, valorizzare quanto di religioso è nel nostro popolo, senza preoccuparsi delle sintesi che non spettano a noi, ma a Dio.
Vinicio Albanesi