«Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni»[1]. Queste semplici e incisive parole di Newman, citate anche da papa Francesco il 21 dicembre 2019, rivelano il significato cristiano che si cela dietro ogni cambiamento. Non un ostacolo bensì un’opportunità di vita.
Anche il tempo che stiamo vivendo – reduci da una pandemia ancora non terminata del tutto – è carico di vita, futuro, desideri e attese. «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo» (Papa Francesco a Firenze, 10 novembre 2015).
Ogni cambiamento è accompagnato da segni di fronte ai quali siamo chiamati ad esercitare una creativa capacità di interpretazione, senza ricorrere alle solite e collaudate soluzioni. La pandemia costituisce un’opportunità di vita per la Chiesa se la affrontiamo come sfida e non come limite.
Il cambiamento d’epoca infatti richiede un cambiamento di mentalità ecclesiale: altrimenti rischiamo di parlare ad un’epoca diversa dalla nostra e quindi a persone ormai morte non vive. (La Chiesa non è un museo!). Il dramma della pandemia ha messo letteralmente in ginocchio tutta la ‘macchina parrocchiale’ con i suoi incontri, schemi e appuntamenti fissi: pensiamo ancora di poter rimanere legati a dimensioni pastorali ormai superate?
Pensiamo ancora di rimanere radicali a quel modello di formazione e crescita spirituale? In breve propongo un percorso di conversione ecclesiale a partire dal metodo: l’autocritica. Segue la riflessione sui soggetti del cambiamento secondo una logica di inclusività e sinodalità: insieme. Infine lo scopo del cambiamento è la traduzione del Vangelo alle donne e agli uomini di oggi a partire dall’esperienza umana e affettiva.
Autocritica: conversione al Vangelo
Il metodo dell’autocritica ci consente di fornire una forma sempre nuova al fine di ri-formare il nostro rapporto con Dio e il suo Vangelo senza adagiarci su stili corrotti e caduchi. L’autocritica nella e della Chiesa coinvolge tutto il popolo di Dio in un processo che interpella anche le famiglie come avvenne durante i Sinodi sulla famiglia.
L’autocritica è un metodo non il fine del cammino ecclesiale che prevede importanti quantità di sincerità, dialogo e verifica continua dei passi compiuti attraverso uno spirito di libertà tipico della vita cristiana. Nella pastorale familiare ad esempio quale aspetto abbiamo esasperato nella catechesi/insegnamento? Quale aspetto invece abbiamo trascurato? Chi abbiamo privilegiato nelle nostro proposte formative? Chi abbiamo tenuto ai margini?
Assumiamo un approccio inclusivo o esclusivo nell’annuncio del Vangelo? Abbiamo preferito la gioia dell’amore oppure i confini dell’amore? Abbiamo preferito contagiare le relazioni di amore possibile oppure abbiamo costruito dogane? La famiglia è comunità di relazioni che evangelizza oppure baluardo politico da difendere?
Insieme: essere Chiesa al plurale
Nella prassi pastorale ci concepiamo come Chiesa insieme? Assumiamo cioè sul noi ecclesiale uno sguardo inclusivo dove le diverse e varie soggettualità colorano il poliedro ecclesiale? L’insieme si vive soltanto se ci educhiamo e formiamo costantemente all’inclusività e alla sinodalità.
La Chiesa può cambiare soltanto se lo fa insieme: il Sinodo in fondo coinvolgerà anche le famiglie al fine di superare una pastorale ancora clericocentrica o troppo “parrocchia-centrica”, in cui i diversi membri della famiglia non sono utenti passivi di un servizio che ricevono dall’alto, ma soggetti attivi-creativi di un’esperienza di fede autentica.
La sinodalità è un processo continuo, mai circoscritto a qualche seduta, che ci permette di accoglierci come comunità dalle relazioni inclusive: l’idea di famiglia tradizionale coincide con quella cattolica? Le idee che circolano in merito ad altri tipi di famiglie coincidono con quella cattolica? Altri tipi di famiglie cosa contengono di buono e cosa non contengono? Cosa tolgono queste nuove unioni al bene della famiglia “tradizionale”?
Tradurre: “dire” oggi il Vangelo della famiglia.
La formazione, forma-re cioè ridare una forma, è un itinerario aperto e continuo. Il cambiamento infatti costituisce l’indole non solo delle persone, della storia, e delle relazioni, ma anche il modo di recepire il Vangelo e di tradurlo in gesti e sentimenti. Potrebbe essere utile chiederci: cosa vuol dire oggi ridare al noi ecclesiale la forma del Vangelo?
Per rispondere a simile quesito è opportuno attivare un esercizio teologico e pastorale di traduzione: occorre tradurre il Vangelo della famiglia, degli affetti, delle scelte definitive, del sacramento del matrimonio, dell’amore unico e indissolubile. In primo luogo le famiglie possono aiutare la Chiesa nel processo di cambiamento attraverso la loro esperienza, che costituisce un autentico spazio di manifestazione dell’amore trinitario: «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr.Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» (DV 8).
In secondo luogo attraverso la rivalutazione della dimensione affettiva alla luce di uno dei segni più eloquenti della pandemia: i tavoli trasformati in altari. La riscoperta salutare di una fede dal sapore familiare/affettivo e non esclusivamente rituale o “parrocchiale”! In questo senso la riscoperta della dimensione psico-affettiva in ambito familiare potrebbe favorire uno spazio di maggiore dialogo e coinvolgimento anche con coloro che vivono altre forme di convivenza umana (unioni civili ecc.).
Roberto Oliva