Quella del riposo, assente nell’Inferno e anelato nel Purgatorio, è in realtà una continua ricerca di Dante che si compie solo in Paradiso…
Sta per cominciare il periodo in cui, chi può, va in ferie e anche Dante avrebbe da dire la sua su come spendere queste settimane di vacanza: inutile dire che il Sommo Poeta non era persona che amava la piattezza, basti pensare alla sorte riservata a Ignavi e Accidiosi, entrambi costretti per l’eternità a non avere sosta.
Durante il viaggio nell’Aldilà il pellegrino non sembra trovare riposo: gli svenimenti in Inferno e i sogni in Purgatorio non possono dirsi veri momenti di ristoro, ma sono comunque delle soste di cui il Poeta sembra aver bisogno. In Inferno Dante sviene «come l’uom cui sonno piglia» (If III 136) dopo il terremoto sull’Acheronte e «come corpo morto cade» (If V 142) dopo il racconto di Francesca. I dannati stessi sono in una condizione di incessante frenesia: ad esempio, oltre ai lussuriosi nella «bufera infernal, che mai non resta» (v. 31), gli avari e prodighi continuamente «tornavan per lo cerchio tetro / da ogne mano a l’opposito punto» (If VII 31-32) e «sanza riposo mai era la tresca» dei bestemmiatori (If XIV 40). La condizione è comune a tutti i dannati, quasi sia insito in ciascuno dei contrappassi non aver sosta, non riposarsi mai. E lo stesso Dante sembra condividere questo stato, per tutto l’Inferno, fino alla fine, fin quando lui e Virgilio «sanza cura aver d’alcun riposo» (If XXXIV 135) escono dall’Inferno e salgono a riveder le stelle.
In Purgatorio la situazione è simile: i superbi vanno «sanza riposo» (Pg XI 124) e addirittura «correndo / si movea tutta quella turba magna» degli accidiosi (Pg XVIII 97-98), proprio lì dove a Dante invece prende una «sonnolenza» (Pg XVIII 88). Il viaggio nel secondo regno infatti dura tre giorni ed è scandito nei canti divisibili per nove (IX, XVIII e XXVII) da tre sogni quando Dante si addormenta: si vede come in Purgatorio il pellegrino Dante fatichi col proprio corpo mortale a scalare la montagna, tanto che lo stesso Virgilio lo invita a «riposar l’affanno» (Pg IV 95) e Pia de’ Tolomei gli chiederà di pregare per lei solo quando sarà «tornato al mondo / e riposato de la lunga via» (Pg V 131). Ma allo stesso tempo su quel monte è forte la volontà di Dante di non voler interrompere la salita e anche nell’unico momento nel quale i due pellegrini si fermano su una roccia, in Purgatorio XVII, al centro esatto dell’intero Poema, è lui a invitare Virgilio a parlare affinché «se i piè si stanno, non stea tuo sermone» (v. 84): nell’unico vero momento di riposo Dante desidera ascoltare dalla sua guida la spiegazione della Dottrina dell’Amore.
Anche in Paradiso le anime dei beati si muovono incessantemente ma il loro movimento è espressione di giubilo e la danza che fanno davanti agli occhi del Poeta è manifestazione della loro beatitudine, tant’è vero che le uniche occasioni in cui essi si fermano è quando devono parlare a Dante, cosa per la quale «non fia men dolce un poco di quïete» (Pd VIII 39). Anche la condizione di Dante cambia: mentre in Inferno e in Purgatorio il movimento era sofferenza, seppur necessario per portare a termine il viaggio, qui Beatrice lo invita a non stupirsi del suo salire nei cieli, «se non come d’un rivo / se d’alto monte scende giuso ad imo» (Pd I 138-139), come non si meraviglierebbe di un ruscello che scende da una montagna. La condizione normale di Dante ormai purificato nel Paradiso è quella di un continuo movimento verso l’alto.
Si vede bene come nell’ottica dantesca il riposo non è solo quello fisico: nel Paradiso c’è molto movimento, ma esso stesso è un riposo, quella quiete spirituale che i dannati non possono avere e che le anime purganti anelano. Anche Dante cerca questo tipo di riposo: ecco perché in Inferno e Purgatorio gli unici momenti di pausa sono dati da svenimenti e sonno, egli non si ferma e se lo fa chiede a Virgilio di continuare a spiegare, affinché la salita, il ritorno «a ca per questo calle» (If XV 54), non abbia interruzioni.
Quella del riposo è in realtà una continua ricerca di Dante: se la condizione normale nel Paradiso è quella di un continuo movimento, non stupirà come nella beatifica visione di Dio «l’Amor che move il sole e l’altre stelle» volgerà il desiderio e la volontà del Poeta «come rota ch’igualmente è mossa» (Pd XXXIII 144-145), continuamente, senza alterazioni. Solo immergendosi in Dio Dante trova quel vero riposo che non aveva trovato svenendo e sognando fra vizi e peccati: lo trova tornando a casa, salendo verso Dio, quando ascolta la Dottrina dell’Amore e da quello stesso Amore si sente mosso, in quel moto eterno, senza sosta e costante. È questo il riposo di Dante!
Maurizio Signorile