Non c’è pace senza giustizia

Domenica 3 aprile, con il rientro in Italia, si è conclusa la “Carovana della pace” a Leopoli. Proviamo a ragionare sul perché debba essere un modello da imitare…

Lo studio della storia umana è davvero qualcosa di impressionante.

Sono praticamente settemila anni, da quando sono apparse le prime civiltà, che gli uomini si sono fatti la guerra: da quelle tribali a quelle tra imperi (solo in occidente studiamo quelli assiro, babilonese, persiano, macedone, romano, fino allo scontro tra impero islamico/ottomano e cristiano di oriente e di occidente), passando poi alle guerre tra i moderni stati nazionali che hanno visto la luce sul continente europeo negli ultimi cinque secoli, per concludere con la storia dell’imperialismo coloniale – perpetuato in particolare dalle “nazioni cristiane” negli ultimi due secoli – che è sfociato in due “guerre mondiali” e nell’uso dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki nel 1945.

A confronto, le ragioni della pace hanno visto proprio nell’era contemporanea, il XX secolo, il fiorire delle vicende e degli insegnamenti di alcuni grandi personaggi: da Gandhi, padre dell’indipendenza indiana nel 1947, a Giovanni XXIII, con il suo magistero di pace che sventò la crisi nucleare di Cuba nel 1962 e che ci ha donato un testamento attualissimo con la Pacem in terris; da Martin Luther King, il cui discorso al Lincoln Memorial del 28 agosto 1963 è tra i più citati nella storia, a Nelson Mandela, nel nuovo paradigma di convivenza tra bianchi e neri in Sudafrica. Per finire al lascito che ci consegnano i protagonisti del Nobel della Pace e di tutte le organizzazioni nate per conseguirla.

Perché la pace possa attuarsi, però, c’è bisogno che essa vada a pari passo con la giustizia. Ce lo ricordava don Tonino Bello, in quel formidabile intervento all’Arena di Verona il 30 aprile 1989,  dove citando il profeta Isaia invitava: “In piedi, costruttori di pace!”. E anche quando, durante la sua partecipazione alla trasmissione “Samarcanda” del 21 febbraio 1991 (condotta da Michele Santoro), per difendere le ragioni della pace di fronte al conflitto NATO-Iraq in seguito all’invasione del Kuwait, affermava in maniera forte e passionale che “oltre alla gente che muore sotto le bombe, ogni due secondi che noi stiamo qui a parlare, ci sono tre persone che muoiono per fame…”. Ci vorrebbe un nuovo ordine mondiale, che, a partire da una ridefinizione degli obiettivi dell’economia mondiale, garantisca la giustizia alle popolazioni mondiali, perché, ove non c’è giustizia minima sui diritti fondamentali delle popolazioni, “noi di pace ne vedremo poca”.

La testimonianza di Don Tonino Bello trovò un coronamento straordinario nella spedizione di pace a Sarajevo nel dicembre 1992. Sotto il coordinamento organizzativo di don Albino Bizzotto e l’associazione “Beati i costruttori di pace” 500 persone si imbarcarono, accompagnati da don Tonino Bello e da Mons. Luigi Bettazzi, da Ancona a Split, per recarsi in pullman nella martoriata Sarajevo in pieno conflitto serbo-croato-bosniaco, mettendo a rischio la propria vita per dare ragione dei motivi della giustizia, della speranza e della pace contro quelli della violenza, delle armi e della guerra.

Esattamente a trent’anni da quella spedizione, dal 31 marzo al 3 aprile scorsi, si è realizzata un’identica “Carovana della pace”, lanciata dalla Comunità “Papa Giovanni XXIII”, che ha visto l’adesione di 159 organizzazioni e la partecipazione, con sessanta automezzi, di 200 volontari che da Gorizia si sono recati via Slovenia, Ungheria e Polonia in Ucraina a Leopoli, dove hanno portato un milione di euro di aiuti umanitari, realizzato incontri con le autorità locali, vissuto una marcia per la pace per le strade della cittadina e portato in Italia 300 profughi ucraini. Qui si possono trovare le foto, i video, i passaggi di quest’esperienza a L’viv, uniti alla possibilità di aderire a prossime simili iniziative.

In questo mese di conflitto, da più parti ci sono state voci che hanno messo in dubbio la realizzabilità delle proposte di chi si rifà alle ragioni della pace.

È ovvio che i due elementi principali necessari ad un’alternativa non violenta all’uso di una resistenza armata sono quelli di un’educazione popolare alla non violenza attiva, fatta di boicottaggio e non collaborazione. Gandhi ha avuto bisogno di anni per condurre a tutto questo il popolo indiano, salvo poi sventare una guerra civile durante la costituzione dei due stati nazionali dell’India e del Pakistan. Ma la vicenda indiana, come quella sudafricana e non solo, dimostrano che un’alternativa nonviolenta all’uso delle armi è possibile.

Altro elemento è quello della realizzazione e della ricezione di una corretta informazione. Anche qui, al successo della vicenda indiana contribuirono i servizi cinematografici e giornalistici degli inviati dell’epoca, a partire dall’epica “marcia del sale”. Viceversa, a Sarajevo nel 1992 ci fu il silenzio di tutti i media, televisioni e carta stampata – se si escludono le pagine de “Il Manifesto”, che pubblicò il diario scritto da don Tonino Bello in quei giorni. A tal riguardo, pare che dopo trent’anni qualcosa sia cambiato, dato che della “Carovana della pace” a L’viv hanno parlato carta stampata e telegiornali. Forse, per merito anche di un costante appello da parte del Vescovo di Roma, che dall’inizio del conflitto invoca una risoluzione di pace.

La guerra in Ucraina, che è entrata in casa nostra come nessun altro conflitto negli ultimi decenni, può essere dunque occasione preziosa non solo per recepire l’appello e l’anelito alla pace che ognuno di noi riconoscerebbe. Deve essere occasione per un’azione attiva contro quelle dinamiche che sono all’origine di ogni conflitto bellico: un’economia che non ha lo sviluppo umano al centro dei suoi obiettivi; un’industria delle armi che vuole mettere a tacere ogni voce per la pace, tacciandola di utopismo.

Memori dell’insegnamento biblico e non solo, nessuna pace sarà mai realizzabile, se non si lavora per rimuovere le cause di ingiustizia che in maniera strutturale costringono intere popolazioni ad una vita subumana. La voce profetica di padre David Maria Turoldo, nel suo intervento del 1967 a Milano, può ben riassumere questa realtà, con parole accorate che si fanno preghiera, visione e, al tempo stesso, appello.

ALESSANDRO MANFRIDI