Ci sono gesti e azioni che esprimono molto di più delle parole, il valore della relazione con la Comunità. Quante teorie a questo proposito, le parole si sprecano davvero! Ci sono forme di comunicazione non verbale che hanno maggiore efficacia più delle parole.
Se applichiamo queste considerazioni al nostro mondo ecclesiale ci rendiamo subito conto della discrepanza tra parole e realtà evocate soprattutto quando parliamo di accoglienza, amore e prossimità.
Per evitare di fare solo considerazioni astratte, basta considerare gli ambienti che utilizziamo per fare accoglienza o per organizzare una semplice riunione parrocchiale con i ragazzi. Ambienti per lo più asettici, spogli e anonimi che rimandano più alla sala d’attesa di una stazione ferroviaria piuttosto che una casa accogliente; o ambienti deposito e impolverati, dove puoi trovare i pastorelli del presepe accanto alle vecchie spugne per le composizioni floreali ai vecchi arredi e agli addobbi natalizi ancora attaccati sulle pareti.
L’ambiente influisce moltissimo sulla comunicazione, può fungere da cassa di risonanza e può contraddire il messaggio che a parole si cerca di trasmettere.
È interessante notare lo stile di Gesù per annunciare il Vangelo e i luoghi scelti da lui per raccontare le parabole o per annunciare il perdono o per istituire l’Eucarestia. Ambienti e situazioni sono sempre messi in correlazione e vengono evocate dal Signore come pretesto per l’annuncio della buona novella. L’attenzione degli evangelisti per quelli che noi potremo definire particolari, è davvero indicativa e sorprendente!
Il Vangelo non è ideologia, è Parola fatta carne che viene ad abitare in un tempo e in una storia ben concreta. Gli insegnamenti di Gesù sono sempre incarnati non sole nelle persone ma anche nei diversi ambienti dove le persone si incontrano.
Si tratta semplicemente di dare anima ai luoghi che abitiamo e di parlare a partire dagli ambienti che viviamo; il problema è se i nostri luoghi sono abitati realmente dalla totalità delle nostre persone o soltanto dai nostri corpi, mentre il nostro cuore sarebbe altrove o ancor peggio insensibile a ciò che diciamo.
Gli estremi sarebbero il troppo formalismo così come la sciatteria e la noncuranza
Per parlare di accoglienza dovremo creare ambienti accoglienti – anche quelli fisici fatti di mura, mobili e libri – e per parlare di amore dovremmo attivare ambienti relazionali che sappiano di umanità e di vita iniziando dall’offrire un caffè o un bicchiere d’acqua alle persone che frequentano i nostri ambienti, offrire noi stessi e non invitarli a servirsi autonomamente indicando loro le bottiglie sistemate dietro le scenografie, dove il disordine dice molto e di più ancora.
Nessuno di noi si sognerebbe di invitare il proprio ospite a servirsi al bar più vicino per avere un bicchiere d’acqua, eppure molte nostre riunioni iniziano così! Per poi riflettere magari, nelle varie relazioni, sull’umanizzazione dei rapporti o sulla crisi di umanità.
Leggendo i vangeli appare molto chiaro lo stile di Gesù che punta sulla relazione e grazie a questa poter trasmettere un messaggio.
Anche da questo particolare (che particolare non deve essere) si capisce subito la crisi di speranza che abita molte comunità; lo si capisce dagli ambienti senza vita e senza cura, dai vecchi poster relativi alle attività di catechesi degli anni passati, a delle immagini sgraziate e stampate in modo da non lasciare intravedere nulla di ciò che si vorrebbe comunicare. Non si tratta solo dell’età media molto alta e neanche di sprecare risorse economiche per coltivare con maggiore attenzione questo aspetto, si tratta invece di guardarci intorno con attenzione e renderci conto che parliamo di speranza e di vita abitando luoghi che di vita e futuro hanno ben poco!
Come potrebbe un giovane essere attirato da un ambiente simile? Se, come diceva un mio educatore negli anni della mia formazione “la stanza è lo specchio di ciò che coltivi dentro di te”, ebbene, allora le anime di buona parte dei nostri ambienti ecclesiali, sono messi davvero male!
Ho una immagine impressa nella mia mente. Nel 2019 quando entrai per la prima volta, insieme ad un gruppo di ragazzi della nostra Parrocchia, nella Missione “Speranza e Carità” di fratel Biagio Conte, recentemente scomparso e in fama di santità, si capiva subito che l’accoglienza praticata in quel posto era reale. Si capiva dai filari di biancheria appesa tra i vari porticati della Casa e dall’odore di pane appena sfornato che quotidianamente viene impastato e cotto dagli stessi ospiti.
Non parliamo poi delle nostre chiese. Qualcuno col sorriso spesso mi dice: si vede che tu ci tieni alla chiesa parrocchiale. Si, ci tengo e quando voglio pregare e stare solo, la chiesa chiusa, pulita e ordinata (come la nostra di Marrubiu) è il luogo che mi porta a pregare in modo spontaneo le parole del salmo 83: Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti! L’anima mia languisce e brama gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente.
Non basta aprire le porte per fare catechismo o concedere i nostri ambienti ai diversi gruppi che ne fanno richiesta, non basta neanche dare solo da mangiare, occorre accogliere con la delicatezza e la fragranza del profumo! Anche gli ambienti più angusti e poveri, possono diventare luoghi che facilitano e favoriscono la comunione.
I nostri ambienti parlano molto di più delle nostre parole!
don Alessandro