Esiste una politica propriamente cattolica?

di Rocco Gumina

Non è che tanto i cattolici conservatori-identitari quanto quelli progressisti-futuristi cercano, sempre con clava o grimaldello, di affermare una politica cattolica quando, invece, abbiamo bisogno di convertirci verso una politica autenticamente umana?

Ormai diversi decenni fa il teologo tedesco Josef Fuchs si domandava se esistesse una morale propriamente cristiana. Dinanzi a simile questione il sacerdote gesuita affermava che la categoria della morale cristiana non sussiste a differenza di una forma morale ispirata cristianamente la quale si manifesta lungo i secoli della storia. A partire dalle riflessioni del celebre teologo moralista Fuchs, e per rilanciare il dibattito sulla relazione fra cattolici e politica che insieme a Giuseppe Savagnone abbiamo su questo blog sinora animato, possiamo domandarci: esiste una politica propriamente cattolica? Se, oltre alla domanda, prendessimo in prestito anche la risposta del gesuita tedesco dovremmo affermare che non esiste una politica precipuamente cattolica bensì un modo plurale, ricco e fecondo dei credenti di impegnarsi in politica. Tuttavia simile affermazione va validata attraverso alcune riflessioni storiche, teologiche e politico-partitiche congiunte alla contemporaneità.

A seguito dell’unità d’Italia e del Non expedit, i cattolici italiani rimasero fuori dalla costruzione politica del Paese. Luigi Sturzo, dopo un pluriennale impegno amministrativo nei territori, con la fondazione del Partito Popolare Italiano del 1919 permise ai credenti di uscire dall’anonimato politico e di tornare a dare un contributo rilevante nello scenario nazionale. Il costrutto del sacerdote siciliano era basato sul concetto di aconfessionalità il quale – a differenza dell’ipotesi di un “partito cattolico” – riusciva a differenziare, ma non a separare del tutto, la particolarità del dato politico dall’universalità del messaggio evangelico. Difatti il Partito Popolare non era il partito dei cattolici bensì un soggetto che mosso dagli ideali del Vangelo proponeva una delle possibili e diverse modalità di abitare la politica del tempo.

Con la fine della seconda guerra mondiale si affermò in Italia la politica dei partiti. Fra questi c’era quello democristiano il quale nell’ereditare la storia dei popolari legava a filo doppio – a partire dal nome – la sua identità all’annuncio evangelico. Nonostante ciò, nella stragrande maggioranza del ceto politico democristiano era chiarissima la distinzione tra l’azione cattolica – condotta su mandato e sotto responsabilità ecclesiale – e l’azione politica effettuata, invece, alla luce di un personale discernimento e di un relativo impegno nella storia.

Il germe dell’esperienza politica dei popolari prima e dei democristiani dopo sembra affiorare del tutto quando la costituzione pastorale Gaudium et spes, del Concilio Vaticano II, al numero 75 afferma: «In ciò che concerne l’organizzazione delle cose terrene, [i cristiani] devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini che, anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista». Nel riflettere sull’impegno politico dei credenti, la Gaudium et spes invita incessantemente a «instaurare una politica veramente umana» tramite la coltivazione della giustizia, del bene comune, del riconoscimento sia della dignità umana sia dei limiti di competenza dell’autorità pubblica.

La straordinaria lezione del Concilio Vaticano II ha ancora tanto da dirci su molteplici direzioni come quelle congiunte al riconoscimento dei valori terresti, alla relatività del dato politico, alla presenza della Chiesa nel mondo. Infatti, secondo il dettato conciliare, più che “società perfetta” la Chiesa è invitata a divenire una comunione di uomini e donne che insieme ai non credenti e ai seguaci delle altre religioni tende alla solidarietà, alla giustizia, alla libertà e alla pace. Si tratta di un vero e proprio movimento di conversione mentale e sentimentale da compiere verso la pluralità, la relatività e la molteplicità delle reali condizioni umane. Gesù, ad esempio, non ha optato per la costituzione di un “micro Stato cristiano” volto a finalizzare la sua missione bensì è andato incontro al mondo e a tutti coloro che lì operano con fatiche e speranze. In tal senso non possiamo accontentarci né della partecipazione del vescovo di Roma, con una relazione sull’etica nell’intelligenza artificiale, all’incontro delle nazioni più ricche e distruttive del pianeta né dello schema – all’avvertimento della gerarchia deve corrispondere la pedissequa esecuzione da parte del laicato senza la quale si dissolve il cattolicesimo politico – recentemente riaffermato dal cardinale Camillo Ruini in un’intervista apparsa sul Corriere della Sera. Per Ortensio da Spinetoli, invece, occorre: «scendere in lizza, disturbare la quiete dei benpensanti, scoraggiare e possibilmente stroncare le iniziative tendenti a confermare le sperequazioni, le discriminazioni, i dislivelli creati dalla storia».

A me pare che nel nostro Paese tanto i cattolici conservatori-identitari quanto quelli progressisti-futuristi cercano – ora mediante una clava ora tramite un grimaldello – di affermare con gruppi, correnti, consorzi, raggruppamenti, aggregazioni, pubblicazioni una politica cattolica quando, invece, abbiamo bisogno di convertirci verso una politica autenticamente umana. Una politica che consiste nel partecipare, senza etichette e pretese, al grande processo di liberazione di moltitudini di uomini e donne affranti dalla sottomissione, dall’indifferenza, dal mancato riconoscimento dei diritti, dalla parziale o totale assenza di giustizia e libertà. Forse, con simili modalità, saremo meno visibili in termini mondani ma più efficaci secondo i parametri della logica evangelica del sale e del lievito. Inoltre con il “Vangelo nascosto sul petto” avremo la possibilità di superare un opprimente pessimismo che non rende ragione delle molteplici meraviglie che ancora oggi i cattolici impegnati nella società riescono, insieme agli altri, a generare.