Basta catechismo e catechisti, è ora di catechesi e di cambiamento

Dove stiamo andando? Verso quale catechesi? Verso quale figura di catechista? 

Con onestà, dobbiamo ammettere che non lo sappiamo e che non vediamo chiaramente il futuro. Quello che invece sappiamo con certezza – e non è poco! – è ciò che vorremmo lasciarci alle spalle. E cioè una catechesi quasi esclusivamente rivolta ai bambini e in vista dei sacramenti, delegata a catechisti, o meglio, a catechiste, spesso lasciate sole a gestire la complessità dell’annuncio, in un contesto socio-culturale sempre più secolarizzato e pluralista.


In questo articolo non intendo entrare in questioni teoriche sul ministero del catechista né tracciare un quadro teorico esaustivo delle questioni dibattute.

Mi propongo invece un approccio pratico. La teoria, infatti, è sufficientemente definita. Serve anche un’effettiva declinazione concreta di questi temi.

Il lavoro riflessivo degli ultimi decenni ha contribuito ad una certa lucidità sul ministero del catechista. Talvolta però, si ha come l’impressione che il profilo del catechista sia così esigente e richieda un tale livello di competenze da farlo sembrare un “esperto della spaccata”.

Senza sminuire il valore delle indicazioni magisteriali o negare la necessità di certe qualità e competenze del catechista, vorrei invertire il punto di partenza della riflessione e prendere l’avvio da ciò che avviene nelle pratiche. Mi propongo di dire qualcosa sul ministero dei catechisti osservando, per così dire, la catechesi come “dal di dentro” e i catechisti “mentre agiscono”. Quest’approccio permette di ragionare non secondo una logica organizzativa e di applicazione di un modello ideale sul reale, ma secondo una logica spirituale, di discernimento e di scoperta delle tracce di Dio dentro la vita. Naturalmente, per non restare prigionieri del “ciò che si si riesce a fare”, vorrei mettere in dialogo la voce della pratica con quella della riflessione teologica e pastorale.

Procedo in tre passi. Innanzitutto tratteggio la fotografia dei “catechisti in pratica”, poi presento qualche criterio per interpretarla, ed infine indico alcune trasformazioni da incoraggiare per un esercizio del ministero di catechista in un senso più evangelico ed all’altezza del contesto attuale.

  1. La fotografia dei catechisti in pratica

Per tratteggiare il profilo dei catechisti italiani come emerge dalle pratiche, mi riferisco soprattutto ai dati di una recente ricerca della Pontificia Università Salesiana. In estrema sintesi, si può dire che la maggior parte dei catechisti parrocchiali è donna: madre o nonna, volontaria, spesso (ex) insegnante. Sono ancora relativamente pochi gli uomini coinvolti in questo ministero.  

I catechisti si formano sempre più spesso in équipe, ma, in generale, agiscono perlopiù da soli.

Sono principalmente catechisti dei ragazzi (7-12 anni) impegnati nei percorsi di IC. Alcuni, ancora pochi, sono accompagnatori dei genitori che si lasciano coinvolgere nei processi iniziatici dei loro figli.

È molto difficile stabilire il numero esatto dei catechisti. Si stima che in Italia essi siano tra i 100.000 e i 150.000. Tuttavia, questa cifra tende ad abbassarsi, mentre aumenta l’età media delle persone coinvolte: segno di un certo “invecchiamento” e della fatica ad implicare forze nuove in questo ministero. Gli ultimi anni (di emergenza sanitaria) hanno amplificato e accelerato, almeno ad un primo sguardo, queste tendenze.

  • Quattro criteri interpretativi del ministero dei catechisti

Come interpretare questa fotografia?

Uno sguardo al passato recente della catechesi permette di dedurre alcuni presupposti – ne indico quattro – su cui molte proposte catechistiche sono costruite e che influenza il modo di essere e di fare i catechisti.

  1. Una catechesi principalmente per i ragazzi. E i catechisti di adulti?

Nell’immaginario collettivo la catechesi coincide con la catechesi dei ragazzi e la catechesi dei bambini con il catechismo. Ciò che qui è in gioco è una doppia riduzione: di tutta la catechesi alla catechesi dei ragazzi e della catechesi al catechismo, cioè alla sua dimensione cognitiva. Nonostante il grande lavoro che la chiesa italiana ha messo in atto da circa una ventina d’anni per rinnovare la catechesi e l’IC secondo la linea della ispirazione catecumenale, la catechesi è ancora considerata come una questione di bambini. La comunità ecclesiale concentra le sue forze soprattutto nelle prime età della vita e la maggior parte dei catechisti si rivolge a bambini. L’indagine sui catechisti già citata conferma questo dato. Soltanto il 3,9% di essi annuncia la fede ad adulti in percorsi non legati ai sacramenti o riti.

L’abitudine a catechizzare principalmente i bambini produce una sorta di infantilizzazione della vita cristiana “nelle parole, nei gesti, nell’atmosfera generale”.  Forse anche questo, cioè la debolezza dell’attenzione alla vita adulta della fede e alla fede degli adulti, può spiegare il timore o l’incertezza dei catechisti quando sono chiamati a rivolgersi ad altri adulti. Non è questo anche il segno di una catechesi intesa ancora troppo come dottrina e insegnamento top-down?

  • Una catechesi ancora prevalentemente cognitiva e didattica. Catechisti soltanto insegnanti?

La prevalenza del registro cognitivo nella catechesi è ancora evidente. L’IC si riduce ancora troppo spesso alla catechesi e ad una catechesi intesa come spiegazione di concetti della fede e di precetti morali. Attualmente, come dice Mons. Fischella, “il catechista sostituisce il maestro, all’aula scolastica succede quella del catechismo, il calendario catechistico è identico a quello della scuola”.

In tal modo, la vita cristiana si riduce ad una materia di studio e il catechista assume il ruolo di maestro che insegna secondo una pedagogia del tipo: “io ti spiego, tu capisci e poi metti in pratica”.

È un’eredità della catechesi del passato. Funzionava in un contesto nel quale l’IC poteva contare sui contesti sociale e familiare favorevoli alla vita cristiana. In quel contesto i bambini arrivavano alla catechesi parrocchiale essendo già credenti e al catechista spettava il compito di sviluppare la dimensione cognitiva della fede. Ma nel nostro contesto in cui la fede non può essere data per presupposta ed in cui sono in gioco non solo l’ignoranza religiosa (cioè letteralmente il non sapere rispetto alla fede), ma anche la necessità di favorire l’accesso alla vita credente o la sua riappropriazione personale e libera, il registro cognitivo è ancora sufficiente, benché sia necessario?

  • Una catechesi in vista dei sacramenti. Catechisti “controllori o facilitatori della Grazia”? (EG 47)

Veniamo da un tempo nel quale la finalità della catechesi non era di iniziare alla vita cristiana ma di preparare i ragazzi a ricevere bene i sacramenti che loro mancavano. Ancora troppo spesso, anche oggi, la catechesi è strutturata intorno a scadenze sacramentali, stabilite in precedenza e uguali per tutti (almeno nella catechesi dei bambini). Di conseguenza, per certi aspetti, la catechesi è vissuta come una specie di moneta di scambio per avere diritto ai sacramenti. La controprova è  l’utilizzo ancora molto frequente della metafora domanda/offerta per parlare dei sacramenti. In questa logica i catechisti e i parroci diventano come dei “doganieri” che controllano il rispetto di alcune condizioni per fare accedere ai sacramenti (per esempio la presenza ad un certo numero di incontri).

Varrebbe la pena, per tutti, riscoprire che i sacramenti sono sempre radicalmente un dono di Dio e la chiesa stessa ne è continuamente destinataria. Essi stanno al centro dei cammini di fede, non alla fine come premio di una preparazione intellettualistica o volontaristica.

  • Una catechesi delegata a specialisti. Catechisti da soli

Nel periodo post-conciliare, di fronte all’indebolimento del catecumenato sociale, la catechesi si è progressivamente ritrovata caricata – da sola – della responsabilità di generare alla fede. Ma la catechesi, da sola, non è in grado di generare alla vita cristiana. Questo compito chiede, come dice Giuliano Zanchi, “un insieme di situazioni e di relazioni legate ad una comunità adulta capace di introdurre […] nel vivo della vita cristiana”.

Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola afferma: “il passaggio fondamentale oggi è proprio quello di sviluppare questa coscienza […] che è l’intera comunità che genera o non genera alla fede”. Si tratterebbe di interrompere la logica della delega – affidata o assunta – e di entrare in una logica dell’alleanza tra ministerialità diverse e complementari. È una sfida ecclesiologica che rimanda al protagonismo di tutta la comunità e domanda catechisti capaci di lavorare in sinergia con altri.

  • Catechisti verso il futuro

La breve ricognizione che abbiamo presentato ci permette di intuire come, allo stato attuale, il servizio “chiesto” ai catechisti sia debitore di figure di Chiesa e di concezioni della catechesi che non tengono più. Come dice papa Francesco, si tratta di assumere il “cambiamento d’epoca “ nel quale ci troviamo e  di porsi in una prospettiva missionaria. Cioè passare dalla cura per una fede già esistente al servizio della fede che può nascere. Come? Poiché la fede è sempre dono di Dio, il catechista si mette al servizio di quest’offerta di Alleanza che lo precede dentro la vita degli uomini e delle donne, per riconoscerne gli indizi e favorirne la libera accoglienza.

Sempre più il ministero del catechista chiede contesti in cui prendersi cura della propria fede, insieme con altri che fanno lo stesso. E di sperimentare che questi contesti non sono solo “a monte” le sessioni di formazione necessarie -, ma anche “durante” la missione: facendo la catechesi, il catechista si ritrova catechizzato.

Insomma, l’identità del catechista è un’identità dinamica, in itinere, un’identità spirituale al servizio dei doni spirituali degli altri. Questo stile spirituale è, allo stesso tempo, un atteggiamento pratico: chiede di esercitarsi nell’ascolto della vita, nell’ascolto e nella lettura delle pratiche. Perché è nella vita, nella storia che si sentono i gemiti dello Spirito.

Provo a indicare alcune transizioni da incoraggiare – qualche timido passo è già in atto – o da intraprendere.

  1. Un ministero non più delegato (de-legato), ma collegato agli altri (cum-ligato)

Come dice ancora Castellucci è il momento di “allargare” il significato del termine catechista, rendendo le nostre comunità sempre più consapevoli che “catechisti” sono tutti coloro che ne formano il volto ed esercitano un impatto educativo sui giovani e sulle famiglie, anche se occorre sempre qualcuno che assuma personalmente il servizio di coordinare e di accompagnare sulle vie della fede”.

In questo senso, il ministero del catechista è un ministero di tessitore di relazioni e di alleanze. Collabora  con persone diverse, vocazioni diverse, competenze e ambiti di impegno pastorale diversi: operatori-animatori liturgici, operatori della pastorale familiare, laici, clero… Cerca alleanze educative non solo nel corpo ecclesiale, ma anche nel corpo civile, sul territorio.

  • Un ministero della soglia

Il ministero del catechista come ministero della soglia è il ministero di chi abita le soglie  della vita e rende accessibile il Mistero. In questo senso, il suo stile è uno stile che sconfina oltre i recinti ecclesiali e che incontra le persone non nel segno della conquista, ma della relazione umile che fa spazio all’altro e all’Altro che è Dio.

Il catechista è consapevole che è la comunità ecclesiale ad evangelizzare con tutta la sua vita. Si offre come soglia «ospitale», disponibile per accogliere e farsi accogliere dalle persone così come sono. In modo tale che chiunque arrivi alle porte della chiesa possa sentirsi di casa.

Il catechista, inoltre, abita le soglie della vita, vive le esperienze umane di tutti (nascere,  amare, soffrire, morire, educare…) ma alla luce del Vangelo. Su queste soglie il catechista si rende semplicemente presente rinunciando a strategie di recupero e sperimentando, con chi lo desidera, la forza umanizzante del Vangelo.

  • Un ministero di testimonianza e di accompagnamento

La posta in gioco, qui, è la postura relazionale del catechista e il modo di esercitare la sua autorità. I

Il catechista accompagna anche sui cammini della fede, come un traghettatore, secondo la bella immagine che del teologo Christoph Theobald. Che si muove sulla “sponda dell’altro” per per arrivare insieme alla riva opposta”. Essere traghettatore significa essere coinvolti negli stessi percorsi di fede e “rifare la traversata”, continuamente in ascolto della Parola che annuncia. Il catechista-traghettatore “sa farsi indietro, a tempo debito; sa esercitare la sua autorità per permettere ad altri di diventare liberi e autonomi nella fede; rende possibile la concertazione e la sinodalità tra tutti”.

A causa delle profonde trasformazioni in corso, non è facile, oggi, maturare un quadro pastorale condiviso Tuttavia, è urgente avviare un vero e proprio processo di cambiamento e non solo di adattamento.Si tratta di un’altra missione impossibile? Vale la pena ritrovare lo stile fiducioso di cui parla il vescovo emerito di Angoulême:

“Qualunque siano le riforme strutturali che stiamo attuando,  sappiamo di essere sostenuti  dalla certezza di vivere il mistero e la missione della Chiesa nel segno di ciò che inizia e di ciò che cresce, e non solo di ciò che sopravvive o che dovrebbe essere mantenuto ad ogni costo”.

Michele Roselli