«Fate questo in memoria di me»
L’anno pastorale che inaugureremo sabato 26 ottobre, a Zuradili-Zurabara, nello stesso luogo dove la nostra Comunità di Marrubiu ogni anno fa memoria delle proprie radici, segna l’inizio di un nuovo tratto di strada che condivideremo nel segno della fede.
Inizieremo questo pezzo di strada, ispirandoci a queste parole Fate questo in memoria di me, parole che ripetiamo in ogni eucarestia, insieme ai gesti che Gesù ha compiuto nell’ultima cena.
Qual è il significato concreto di queste parole per la nostra vita? Quali progetti, quali idee, possono ispirarci queste parole? Quali programmi possiamo realizzare per questo nuovo anno pastorale, tenendo conto del bene più grande che includa tutti: bambini, adulti, piccoli, ragazzi, grandi, infermi, buoni, cattivi?
Questa frase, pronunciata da Gesù nelle ore più drammatiche della sua esistenza terrena, sono una consegna che accompagna la nostra vita. Sono parole che hanno cambiato la storia perché non sono solo sintesi di tutto il suo insegnamento, ma rappresentazione concreta dell’offerta del suo sacrificio. Questa frase ha cambiato tutta la storia dell’uomo; esse costituiscono il momento culminante dell’eternità e continuano a tracciare la rotta verso una piena umanizzazione della storia.
Concretamente, Gesù, con questo invito, non ci vuole esortarci e vivere una vita cristiana assolutizzando i riti, ma ad esprimere in modo concreto, nella vita di tutti i giorni, ciò che i riti esprimono in profondità. Se il rito rimane rito, vuole dire che esso è sterile.
Sappiamo dai Vangeli l’avversione che Gesù aveva nel rito fine a se stesso senza nessuna traduzione nella vita. Eppure, tuttavia, non possiamo prescindere da questo importante riferimento. Se vogliamo che qualcosa cambi nella nostra Parrocchia, nella Chiesa, nel nostro paese e nel mondo intero, dobbiamo ripartire da una rinnovata comprensione di questi riti, e questo può essere possibile solo nella rinnovata conoscenza di Gesù, così come i Vangeli ce lo presentano.
L’eucarestia, celebrata con fede, è generativa di un futuro carico di speranza. E’ proprio questa virtù, la speranza che sta venendo meno in tutti noi, anche in noi preti e collaboratori parrocchiali a vario titolo.
La speranza, non è una capacità umana ma teologale, anch’essa come la fede e la carità, viene da Dio e a Lui dobbiamo continuamente chiederla come dono.
Il grande Giubileo che sarà inaugurato nella prossima notte di Natale da Papa Francesco, con l’apertura della Porta Santa, e che ha come tema “Pellegrini di Speranza”, ci aiuti a mettere a fuoco il senso di questa virtù teologale, per essere capaci di sguardi rinnovati in tutti gli ambiti della nostra vita.
La fede, senza la speranza, rischia di scivolare in una forma di intimismo sterile in ostaggio della paura, anche di noi stessi. L’Anno Santo, sia un tempo che alimenta la la fede e la carità, e ci stimoli ad entrare, con maggiore convinzione e coraggio, nella sala nuziale del banchetto eucaristico, per venirne trasformati come uomini nuovi, capaci di rendere ragione della speranza che ci abita.
don Alessandro
Marrubiu, 14 settembre 2024